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domenica 13 ottobre 2024

Recensione de "Il mistero della discesa infinita" su Il Club del Libro

Mi sono appena accorto di una recensione a "Il mistero della discesa infinita" comparsa su Il Club del Libro


La riporto anche qui.

In questo libro, presentato come il sequel di Il mistero del suono senza numero, l'autore romanza il pensiero di Zenone di Elea e la sua vita. Da osservare è l'evoluzione, filosofica e personale, dei personaggi all'interno di questo "racconto divulgativo". Lo stile è incalzante, il mistero e la parte teorica si intrecciano al punto da non far notare al lettore la differenza tra filosofia e pratica. Uno dei personaggi più influenti del libro è Apollonia, amica intima di Zenone, che riesce ad aprire una finestra sul femminismo nell'Antica Grecia, rappresentato dalla libertà femminile all'interno della Crotone greca. Inoltre, si possono incontrare anche le critiche che Zenone riceve da parte del giovane Socrate, facendo ragionare il lettore. Dovendo descrivere con una frase il libro, direi che conduce alle conclusioni filosofiche di Zenone con un processo graduale, facendo diventare filosofo anche colui che legge il libro.

domenica 28 gennaio 2024

Vincenzo Fano − I paradossi di Zenone − quarta parte − spazio e tempo sono densi? - Weierstrass e Russell


Come già scritto, il libro I paradossi di Zenone di Vincenzo Fano è stato fondamentale nel percorso di ricerca per il mio terzo libro, Il mistero della discesa infinita. Oltre ai già citati Giovanni Cerri e Gustavo E. Romero, l'opera di Fano è stata una risorsa di inestimabile valore, svolgendo un ruolo chiave nell'approfondimento del pensiero di Zenone in relazione al moderno pensiero scientifico, matematico e filosofico.

Qui continuerò la sintesi delle premesse di Fano per affrontare le interpretazioni di Bertrand Russell del paradosso della dicotomia (che si basano sui risultati dei matematici CantorDedekindWeierstrass e Peano).

Dicevamo che, dopo aver mostrato come Brouwer affronta matematicamente la questione già sottolineata da Aristotelee cioè che un insieme di elementi discreti non può rappresentare il continuo geometrico o intuitivo, Fano analizza uno dei dilemmi che sono alla base di almeno due dei paradossi di ZenoneSe lo spazio fisico sia o no un insieme denso di punti.

Fano cita un'idea di Grünbaum (Modern Science and Zeno's Paradoxes, p. 44), secondo cui, quando si propone un ipotesi matematicamente esatta sulla natura di un oggetto reale, è opportuno confrontare tale ipotesi con la percezione. Infatti, anche se la percezione è parzialmente illusoria, essa è la prima nostra fonte di conoscenza e quindi va rispettata.
Tuttavia, un continuo spaziale percepito, come ad esempio un tratto di matita nera su un foglio bianco, non viene colto come un insieme denso di punti. Certo possiamo definire in esso dei minimi percepibili, considerando che la percezione visiva spaziale possiede una soglia.
Quindi potremmo anche dire che esso è in potenza formato da un insieme finito e discreto di minimi percepibili. Ma tali minimi non risultano evidenti. Possiamo quindi affermare, con Grünbaum, che la percezione non testimonia contro l'affermazione che lo spazio sia composto da un insieme denso di punti, sebbene non testimoni neanche a favore di questa tesi.

L'argomento più forte a favore del fatto che lo spazio fisico sia composto da un insieme denso di punti, afferma poi Fano, è, invece, il successo delle attuali teorie fisiche
meccanica classica, meccanica quantistica, relatività ristretta e generale, elettromagnetismo, elettrodinamica quantistica e modello standard. Tutte queste teorie presuppongono uno spazio fisico densoper cui, se abbracciamo una forma di realismo scientifico, anche moderato, arriviamo alla conclusione che, per quanto ne sappiamo, lo spazio fisico è denso. Il realismo scientifico moderato, infatti, afferma che le migliori spiegazioni di un dato dominio di oggetti sono almeno in parte vere anche riguardo a ciò che non è osservabile. Dunque è ragionevole supporre che lo spazio fisico sia effettivamente denso.

La densità del tempo 
Ma una tale supposizione può essere valida pure per il tempo? In "I paradossi di Zenone − seconda parte − I contributi di Aristotele al paradosso della dicotomia" abbiamo visto che la soluzione aristotelica del paradosso si basava sull'infinità divisibilità del tempo.

Così come per il caso dello spazio, Fano prende in considerazione un esempio concreto. Per lo spazio aveva considerato un tratto di matita e per il tempo considera una palla che si muove su di un tavolo da biliardo
Ora non abbiamo più un oggetto statico come il tratto di matita ma un oggetto in movimento.

Fano considera le due diverse concezioni del movimento: la cosiddetta teoria at-at, solitamente attribuita a Bertrand Russell, per cui essere in movimento significa “essere in luoghi diversi in istanti diversi. E quella aristotelica, secondo la quale il movimento è "l’atto di ciò che è in potenza in quanto in potenza" (Fisica, 201a: 10-11 e 201b, 4-5).

La prima è una teoria precisa e, di fatto, accettata dalla maggior parte degli studiosi. Tuttavia è non solo poco intuitiva, ma anche problematica, perché implica, come si vedrà, una radicale forma di indeterminismo. La seconda, invece, è oscura, ma rende certamente meglio l'idea del movimento come qualcosa di non rappresentabile in modo completo nello spazio e nel tempo.

Per fare un esempio, la teoria at-at afferma che se Gianna alle 15:20 è in camera sua e alle 15.21 è in cucina, allora si è mossa. Per Bergson (1889, pp. 64 70) questo non è il movimento, ma "il già mosso"; cioè un fatto compiuto. In effetti, se Gianna sparisse dalla sua stanza alle 15:20 e ricomparisse in cucina alle 15:21 non potremmo dire che fra le 15:20 e le 15:21 si stava muovendo, possiamo al massimo dire che si è mossa, cioè che non è più nello stesso luogo.

Per Aristotele, invece, il movimento implica necessariamente un'analisi ontologica in termini di ciò che è attuale e di ciò che è potenziale. In prima approssimazione potremmo dire che il movimento è l’attualità di una potenzialità. Ad esempio, Gianna nella sua camera porrebbe andare in cucina, e fra le 15.20 e le 15.21 realizza questa possibilità. Se questa fosse stata la definizione aristotelica di movimento, di nuovo faremmo confusione con il già mosso, cioè il passaggio dalla potenza all'atto sarebbe solo un modo ontologicamente diverso di descrivere qualcosa di simile a quello che racconta la teoria at-at. È forse per questa ragione che Aristotele aggiunge quella strana postilla: il movimento è l'attualità di una potenzialità in quanto in potenza. Infatti quel "in quanto in potenza" sta a indicare che non stiamo parlando di '"già mosso", ma di movimento, cioè questo passaggio deve contenere in sé ancora potenzialità, ossia deve essere qualcosa di incompleto (Brentano, 1862, pp. 52 ss.; Kostman, 1987; Ross, 1936, p.-dl.).
Tutto ciò è molto interessante, ma irrimediabilmente impreciso.

Fano propone quindi un miglioramento della teoria at-at del movimento dicendo che la palla da biliardo è in moto in un certo istante se, preso un lasso di tempo Δtε piccolo a piacere, che comprenda t, in istanti diversi di Δtε essa si trova in luoghi diversi. In pratica, affinché ci sia movimento, deve esserci continuità del moto. In questo modo, usando una procedura ispirata al metodo rigoroso di Weierstrass, abbiamo reso un po’ più intuitiva la teoria at-at. Infatti per affermare che la palla si muova nel lasso di tempo Δtε è necessario che si muova in tutti gli istanti che appartengono a Δt.
Vedremo che questa definizione lascia dei problemi aperti, però è probabilmente il meglio che siamo riusciti a fare a tutt’oggi, grazie al genio di Weierstrass.

Secondo molti autori (Whitehead e Grünbaum), tuttavia, il tempo percepito, a differenza dello spazio, sarebbe discontinuo.

Ma secondo Fano sembra più naturale affermare che, così come nel caso dello spazio, la continuità o discontinuità della temporalità dipenda dalla struttura percettiva di ciò che stiamo percependo: cioè se percepiamo il movimento della palla da biliardo la sua temporalità sarà continua mentre se stiamo percependo il battito del nostro cuore la temporalità sarà discontinua.
Questa tesi è confermata anche dai più recenti studi di psicologia cognitiva(Fingelkurts 2006). Inoltre, anche in questo caso le migliori teorie fisiche presuppongono che il tempo sia denso; perciò abbiamo buone ragioni per ritenerlo tale.

Fano conclude quindi che, una volta accertata la densità dello spazio, siamo naturalmente portati ad assumere anche quella del tempo.

L'autore si immerge quindi nella problema considerando la spazializzazione e la misurabilità del tempo. Questioni che affronteremo nella prossima puntata.

lunedì 15 gennaio 2024

Recensione de "Il mistero della discesa infinita" sul sito di divulgazione matematica Maddmaths!

Il sito di divulgazione matematica Maddmaths! ha pubblicato una recensione de "Il mistero della discesa infinita": Letture Matematiche: Il mistero della discesa infinita, Flavio Ubaldini - Maddmaths! (simai.eu)

La riporto anche qui.

Brevi consigli per letture matematiche. “Il mistero della discesa infinita – Zenone e gli atomi della discordia” di Flavio Ubaldini, consigliato da Marco Menale.

Il paradosso di Achille e la tartaruga è uno dei più noti paradossi proposti da Zenone di Elea, filosofo della Magna Grecia del V secolo a.C., discepolo di un altro filosofo eleata, Parmenide. Achille, pur essendo partito dopo la tartaruga, riuscirà a raggiungerla? Intorno a questa domanda, e il più profondo tentativo di dimostrare l’illusione del movimento, si sviluppa il romanzo di Flavio Ubaldini “ll mistero della discesa infinita – Zenone e gli atomi della discordia”, edito da Scienza Express.

Flavio Ubaldini è un matematico e divulgatore italiano. Noto sul web come Dioniso Dionisi, cura il blog Pitagora e dintorni. È autore di “il mistero del suono senza numero” e “Il volo delle chimere”. Tra i suoi interessi c’è anche la musica.

“Il mistero della discesa infinita” è ambientato a Elea (l’attuale Ascea, in provincia di Salerno) e ruota intorno alle vicende della vita di Zenone. Il racconto si apre con il giovane filosofo in procinto di sostenere l’esame di accesso alla scuola del maestro Parmenide. Dopo questa tappa, Zenone resta affascinato dalla filosofia e della teoria del maestro sull’essere statico e immutabile. Così comincia a ricercare una possibile soluzione logica al noto paradosso di Achille e la tartaruga.

Nella prima parte del romanzo uno dei protagonisti è il nonno di Zenone. Non solo invita il nipote a proseguire gli studi di Parmenide, ma gli rivela un segreto che cambierà la sua vita, circa un prezioso oggetto. Da questo momento le vicende rendono il racconto un piccolo giallo, dove la filosofia fa da ambientazione. Entrano in scena altri noti filosofi, tra cui LeucippoSocrate e Democrito. Così, nelle trame di questo mistero, Flavio Ubaldini ritorna su alcune delle principali dottrine filosofiche.

L’altro personaggio rilevante di questo romanzo-giallo, soprattutto per la seconda parte del libro, è Apollonia. Amica di Zenone fin dalla gioventù, è costretta a lasciare Elea sia per necessità familiari, sia perché nella scuola di Parmenide è vietato l’accesso alle donne. Per questo motivo studia e si forma nella Scuola Pitagorica di Crotone, una delle poche aperta anche alle donne. Il tema di genere, diremmo oggi, torna più volte nel libro. Inoltre, con Apollonia, e la sua formazione, si parla anche di questioni matematiche, come l’irrazionalità di 2. E la matematica diventa un chiave di lettura per la risoluzione o presunta risoluzione del paradosso.

Le vicende si sviluppano tra trame e intrighi. Con divinità e una certa dose di fantasia, il finale è rocambolesco, con un salto nel tempo di oltre duemila anni.

In definitiva, il libro può essere un’occasione di riscoperta di tematiche di filosofia e matematica, che in molti affrontano solo nei primi anni del liceo, ed è adatto anche per i più giovani, sia per il genere giallo, che per la leggerezza con cui sono affrontati gli argomenti

mercoledì 1 novembre 2023

Vincenzo Fano − I paradossi di Zenone − terza parte − Bertrand Russell: spazio e tempo sono infinitamente divisibili?


Come già menzionato, il libro I paradossi di Zenone di Vincenzo Fano è stato fondamentale nel percorso di ricerca per il mio terzo libro, Il mistero della discesa infinita. Oltre ai già citati Giovanni Cerri e Gustavo E. Romero, l'opera di Fano è stata una risorsa inestimabile svolgendo un ruolo chiave nell'approfondimento del pensiero di Zenone in relazione al moderno pensiero scientifico, matematico e filosofico. 

Qui presenterò una sintesi delle premesse di Fano per affrontare le interpretazioni di Bertrand Russell del paradosso della dicotomia (che si basano sui risultati dei matematici Cantor, Dedekind, Weierstrass e Peano).

Premesse alla soluzione di Russell

Prima di tutto bisogna distinguere tra infinita divisione e infinita divisibilità. Abbiamo visto che Aristotele distingue i due concetti attraverso la differenza tra in potenza e in atto. Mentre noi dobbiamo ragionare in modo diverso, date le difficoltà nel tentare di definire il concetto di "in potenza" in modo rigoroso secondo il nostro moderno pensiero razionale.

Infinita divisibilità1

Da Cantor in poi si interpreta l’infinita divisibilità di un segmento di spazio come l’affermazione che esso è costituito da un insieme infinito e non numerabile di punti. Ma questa interpretazione comporta una rivoluzione completa rispetto alla concezione aristotelica e non solo, secondo la quale l’infinito può esistere solo in potenza, poiché qui si parla di infinito in atto.
Invece, se volessimo restare nello spirito dell'antico dibattito, dovremmo provare a definire con rigore la nozione aristotelica di infinita divisibilità senza avvalerci del moderno concetto di punto matematico. Compito assai arduo che non perseguiremo.

Proseguendo, invece, sulla strada del metodo moderno, va precisato che la locuzione “infinitamente divisibile” che dobbiamo studiare riguarda la fisica e non la matematica, perché nell’argomento della dicotomia è un tratto di spazio fisico a dover essere infinitamente divisibile.
Inoltre, non ci stiamo chiedendo solo se lo spazio sia o meno infinitamente divisibile, ma anche quale sia il senso di questa espressione. Come si può procedere all’infinito nella divisione? Sebbene i fisici di oggi prescindano dalla percezione, sarebbe ragionevole supporre che quando introduciamo dei concetti della fisica ci attenessimo almeno a un principio di percepibilità naturalisticamente inteso. Ovvero nelle nostre teorie fisiche possiamo ammettere solo quelle entità teoriche (non osservabili) per le quali siamo in grado di spiegare perché non le percepiamo o perché le percepiamo con una struttura diversa da come la teoria le delinea.

Possiamo allora procedere nel modo seguente: diciamo che un tratto di spazio è infinitamente divisibile se, presa una parte di esso piccola quanto si vuole, essa è ancora divisibile.

L’espressione “piccolo quanto si vuole” ci porta nell’ambito dell’inosservabile. D’altra parte si potrebbe concepire una tecnologia sempre più avanzata che, in linea di principio, ci porti a scendere sempre di più nel più piccolo.

Dobbiamo adesso definire il concetto di “divisibile “.
Se consideriamo una striscia bianca senza divisioni percettive,

potremmo usare un metodo simile a quello di Dedekind, ma si ha la sensazione che i metodi del taglio presuppongano la divisibilità della striscia, piuttosto che definirla.

Dei diversi tentativi di rendere rigoroso il concetto aristotelico di infinita divisibilità, Fano discute solo quello del matematico Luitzen Brouwer, fondatore della "scuola intuizionistica". 
Brouwer sarebbe stato il primo a mostrare come incorporare nella matematica la questione già sottolineata da Aristotele che un insieme di elementi discreti non può rappresentare il continuo geometrico o intuitivo. Fano dedica alcune pagine per sintetizzare la complessa tecnica sviluppata da Brouwer (1930), e ripresa da Kreisel (1968) e Troelstra (1983).

L'autore analizza quindi uno dei dilemmi che sono alla base di almeno due dei paradossi di Zenone. Se lo spazio fisico sia o no un insieme denso di punti. Ne parleremo nella prossima puntata.

1 Desidero condividere una breve osservazione che va al di là del contenuto del libro di Fano.

Ho notato una chiara connessione tra la seconda antinomia kantiana e il concetto di infinita divisibilità. Sorprendentemente, non ho ancora trovato alcun articolo che esplori questa correlazione. Se qualcuno ne fosse a conoscenza, gli sarei grato se me lo segnalasse.

domenica 24 settembre 2023

Il male detto di Roberta Fulci - Un libro che svela i segreti del dolore e cattura il lettore come un romanzo giallo

È possibile scrivere un libro incentrato sul dolore che catturi il lettore come un bel romanzo giallo? Roberta Fulci ci è riuscita.

Ho cominciato a leggere la prima pagina per curiosità, con l’idea che avrei messo il libro in coda alla mia lista e invece non sono riuscito a smettere. Roberta Fulci, proponendo domande a scienziati esperti delle varie aree che gravitano intorno al dolore (medica, biologica, psicologica, filosofica) guida il lettore in una graduale scoperta dei segreti intorno al dolore.
Inoltre il libro espone termini ed espressioni per descrivere i vari aspetti del dolore. E si sa, a volte le emozioni, le sensazioni e le esperienze prendono forma concreta solo se si ha la capacità di esprimerle verbalmente. La cosa esiste se ha un nome. Il lettore ne esce quindi sicuramente arricchito anche nella capacità di esprimere le proprie esperienze di dolore fisico ed emotivo.

Aggiornamento
E dopo mezzoggiorno ci siamo anche visti la diretta dell'assegnazione del Premio Science Book of the Year a TriesteNext. Il Male detto di Roberta Fulci è arrivato secondo!!!

lunedì 4 settembre 2023

Vincenzo Fano − I paradossi di Zenone − seconda parte − I contributi di Aristotele al paradosso della dicotomia


Un altro punto di riferimento nel mio lavoro di ricerca per il mio terzo libro, Il mistero della discesa infinita, oltre ai già citati Giovanni Cerri e Gustavo E. Romero, è stato il libro I paradossi di Zenone di Vincenzo Fano. Il lavoro dello studioso di logica ed epistemologia mi ha aiutato molto a comprendere il pensiero di Zenone in rapporto al moderno pensiero scientifico, matematico e filosofico.

Qui riporterò una sintesi delle considerazioni di Fano relative alle interpretazioni di Aristotele del paradosso della dicotomia.

La soluzione di Aristotele

Fano propone un'interpretazione di tre passi significativi significativi della Fisica per comprendere la discussione aristotelica sulla Dicotomia.

Prima di tutto Aristotele dimostrerebbe che se lo spazio è infinitamente divisibile lo è anche il tempo. Dopo di che egli osserva che “nella metà di un dato tempo si percorre la metà di una data lunghezza”. Quindi afferma che: "le divisioni del tempo possono essere messe in corrispondenza con quelle dello spazio. La divisione dello spazio che compare nel paradosso non è secondo le estremità (cioè non stiamo parlando di uno spazio infinito), ma secondo la divisione, ovvero è uno spazio finito infinitamente divisibile. Anche il tempo lo è. Quindi non abbiamo una corrispondenza fra uno spazio infinito e un tempo finito ma fra spazio e tempo infiniti nel senso della divisione.

Aristotele discute poi se un punto del moto di un corpo sia in atto o in potenza; e conclude che "se è un punto in cui il corpo arriva e riparte, come ad esempio l’estremo di un moto pendolare, allora quel punto del moto è in atto, altrimenti un punto in mezzo a un moto è solo in potenza

Aristotele nota dunque un ulteriore aspetto dell’argomentazione di Zenone, che non è riconducibile al fatto che per percorrere un insieme infinito di spazi finiti occorre un tempo infinito, ma che in generale non sia possibile compiere un insieme infinito di atti, per il semplice fatto che l’infinito non ha ultimo termine. In altre parole non sarebbe possibile per il corpo C andare da a a b, perché C dovrebbe compiere un’infinita di attraversamenti, e un’infinità non ha un termine finale, per cui C non può arrivare in b. Questo vorrebbe indipendentemente dalla lunghezza degli intervalli. 

"In altre parole, qui Aristotele si sta ponendo con ogni probabilità il problema che i moderni teorici dei supercompiti (ossia realizzare un numero infinito di atti in un tempo finito) sollevano rispetto alle soluzioni standard del paradosso della Dicotomia, cioè a quelle basate sul fatto che la successione Sn = 1- 1/2n per n che tende all'infinito tende a 1.

In termini moderni il problema dei supercompiti è duplice: in primo luogo non si comprende come si possa realizzare un numero infinito di moti in un tempo finito, indipendentemente dal fatto che la loro somma abbia lunghezza finita; in secondo luogo, il fatto che la successione Sn tenda a 1 per N che tende allinfinito riguarda i termini della successione e non il punto darrivo; infatti, 1 non è membro di tale successione. Quindi, avendo dimostrato che Sn tende a 1 non abbiamo ancora provato che il corpo C arrivi a destinazione.

Ma anche così si potrebbe obiettare: resta il fatto che qualsiasi affermazione riguardante la successione degli Sn non è detto che valga per il punto B che non appartiene a essa
Quindi, per risolvere definitivamente questo problema, occorre invocare una sorta di principio di continuità. Ovvero se lo spazio è continuo allora non sussiste nulla fra la serie infinita degli intervalli compresi in ab e il punto B. Per cui il corpo non può che arrivare in B. Questo non solo vale per la fisica contemporanea ma era vero anche per Aristotele.

Nella prossima puntata vedremo l'approfondimento di Fano sul suddetto principio di continuità e le sue premesse per affrontare le  interpretazioni di  Russell (che usò i risultati dei matematici Cantor, Dedekind, Weierstrass e Peano) del paradosso della dicotomia.

venerdì 23 giugno 2023

Il mistero del suono senza numero - "in superficie è una storia semplice e ricca di mistero, in profondità nasconde l’essenza della matematica"

Daniela Molinari, insegnante di matematica e fisica presso un Liceo Scientifico ha scritto una recensione del Il mistero del suono senza numero

Qui riporto solo un piccolo estratto. Per la recensione completa: amolamatematica/il-mistero-del-suono-senza-numero

Il percorso è davvero interessante: in superficie è una storia semplice e ricca di mistero, ma in profondità nasconde l’essenza della matematica: mette in luce le caratteristiche della scuola pitagorica, il percorso della ricerca matematica dalla nascita di un’idea fino alla sua formalizzazione, ed evidenzia come le domande fondamentali si mostrino a volte come banali, ma possano mettere in crisi anche i saperi più antichi.

Le idee più profonde della matematica e della filosofia pitagorica sono trasmesse al lettore nel corso della storia e, permeando la vicenda, consentono un’assimilazione più efficace dei concetti difficili.

venerdì 10 marzo 2023

Recensione de "Il mistero della discesa infinita" sulla rivista di matematica Prisma

Elea, fiorente polis della Magna Grecia nel V secolo a. C. divenne nota in tutto il mondo mediterraneo per la nascita di una scuola presocratica dominata dalla figura del filosofo Parmeride. Proprio a Elea troviamo un giovanissimo Zenone alle prese con uno del più amati passatempi del tempo. La corsa delle tartarughe. Gli occhi scintillanti di intelligenza, l'energia della giovane età, il coraggio: decisamente Zenone non e un ragazzino comune.
E infatti da lì a poco, guidato dalle parole dell'amatissimo nonno, il giovane apprenderà dell'esistenza di un oggetto misterioso che lo spingerà a frequentare proprio la scuola di Parmenide.
La strada è segnata, tutto ha inizio: nelle aule della scuola si appassionerà alla riflessione e alla matematica affrontando questioni filosofiche che gli daranno gloria e che lo porteranno fino alla lontana Atene. Fra tutte, il celeberrimo paradosso che porta il suo nome e che dimostra l'impossibilità della molteplicità e del moto nonostante le apparenze della vita quctidiana.

Il matematico Flavio Ubaldini ricostruisce in modo credibile, con grande dovizia di particolari e una lingua sempre precisa, la realtà del tempo in cui tra viaggi, trame e intrighi Zenone si affanna a decifrare misteri ma, come nei migliori gialli, qualcuno trama alle sue spalle …

lunedì 20 febbraio 2023

È un romanzo direi psichedelico dove si intrecciano matematica, fisica e filosofia

La definizione di "romanzo psichedelico dove si intrecciano matematica, fisica e filosofia" mi è piaciuta molto.

Ecco il resto della recensione.

"È un romanzo direi psichedelico dove si intrecciano matematica, fisica e fisolofia. Leggerlo è stato un viaggio, una piacevolissima immersione nella Grecia classica. Mentre leggevo mi sembrava di sentiresi il profumo del vento caldo e la salsedine della nostra costa insinuarsi tra le colonne dei peristili, o il calore del marmo impregnato di sole estivo... Insomma mi è piaciuto molto!
La metamatica non è il mio campo ma i romanzi di Flavio Ubaldini mi hanno fatto capire quanto matematica, fisica, musica e filosofia sono materie affini.
Consigliatissimo !"

mercoledì 31 agosto 2022

Vincenzo Fano − I paradossi di Zenone − prima parte − una formalizzazione del paradosso della dicotomia e il contributo di Diogene il Cinico

Un altro punto di riferimento, oltre ai già citati Giovanni Cerri e Gustavo E. Romero, per comprendere il pensiero dei filosofi eleati in rapporto al moderno pensiero scientifico e matematico è stato il libro I paradossi di Zenone di Vincenzo Fano.

Qui riporterò una formalizzazione di Fano del paradosso della dicotomia e le sue considerazioni sull'interpretazione di Diogene il Cinico.

1. Prima di tutto Fano espone il paradosso in termini un po' più precisi rispetto alle formulazioni informali.

"Supponiamo che un corpo C si muova da a a b, due differenti luoghi spaziali, con velocità costante. Supponiamo, per semplicità, che la distanza fra a e b sia uguale a 1m e il viaggio duri 1s. Se ipotizziamo che la velocità di C sia costante, essa sarà di 1 m/s."

Ovviamente, per attraversare metà del percorso, C impiegherà 1/2 s. In generale, secondo la cinematica classica, impiegherà esattamente 1/M unità di tempo per percorrere un qualsiasi tratto di lunghezza 1/M contenuto in ab.

2. Quindi Fano rende esplicita l'ipotesi implicita di Zenone, che lo spazio sia infinitamente divisibile (ipotesi che in seguito lo stesso Fano mostrerà essere "non precisabile" - par 2.4).

3. "Dunque C, per andare da a a b, deve percorrere una serie infinita di intervalli di spazio adiacenti, il primo dei quali è lungo 1/2 m, il secondo 1/ 4, il terzo 1/8 ecc., che possiamo così indicare con:"

1/2, 1/4, 1/8, …, 1/2n

4. "Dato che C si muove con velocità finita, per attraversare ognuno degli intervalli della successione impiegherà una quantità finita di tempo."

5. Una conclusione affrettata potrebbe far pensare che una somma infinita di numeri finiti non può che essere infinita. Quindi C adopererà una quantità infinita di tempo per andare da a a b. Per cui C non arriverà mai a destinazione.

Tuttavia, "a una mente matematicamente educata apparirà subito qual è la fallacia nel ragionamento". E cioè che "una somma infinita di numeri finiti non può che dare infinito".
"Infatti, noi possediamo la matematica per affermare che la somma infinita dei membri della suddetta successione dà 1 e non infinito.






Detto questo, in un certo senso, si potrebbe affermare che la questione sia risolta. In realtà un esame storico-filosofico dell'argomento appena presentato aiuterà a comprendere molti aspetti non banali sullo spazio, il tempo, la loro quantificazione e l'infinito".

Il solvitur ambulando di Diogene il Cinico

Diogene Laerzio racconta che quando qualcuno provò a dimostrare che il moto non esiste, Diogene il Cinico si alzo in piedi e se ne andò. Come a dire che bisogna basarsi sull'esperienza e sulla pratica per risolvere questo problema.
"Il senso del gesto di Diogene il Cinico non è però risolutivo, poiché è vero che il movimento è empiricamente evidente, ma l'esperienza potrebbe comunque essere ingannevole, soprattutto se la logica ci mostra che il movimento è impossibile.
Si può anche riformulare così: molti sono d'accordo che il movimento è evidente e che coloro che lo ritengono un'illusione sono sulla strada sbagliata; ciononostante dobbiamo dimostrare in che senso i loro argomenti sono fallaci, cioè ci resta il compito di sostenere argomentativamente l'opinione più comune.

Continua su Vincenzo Fano − I paradossi di Zenone − seconda parte − I contributi di Aristotele al paradosso della dicotomia

lunedì 29 agosto 2022

I paradossi di Zenone sul movimento e il dualismo spazio-tempo – Umberto Bartocci

Umberto Bartocci, I paradossi di Zenone sul movimento e il dualismo spazio-tempo, Episteme, Physis e Sophia nel III millennio, Perugia, N. 8, 2004.

Umberto Bartocci è un matematico, studioso dei fondamenti della matematica e della fisica, noto anche per aver sostenuto tesi minoritarie, come, ad esempio, una critica all’approccio formalistico della matematica proponendo un ritorno a una "fondazione classica".

In questo articolo, pubblicato su Episteme, un giornale ideato e curato dallo stesso Bartocci, il matematico romano riporta sue ricerche e interpretazioni nell'ambito dei paradossi di Zenone e temi correlati. 
In estrema sintesi, Bartocci asserisce che i paradossi di Zenone non possano essere "risolti", ma se ne può solo “spiegare la radice”. E questa ha a che fare con le modalità di funzionamento della nostra mente “ogni volta che si cerchi di concepire esattamente qualsiasi forma di movimento”.
Ponendosi al di fuori della tradizionale interpretazione in cui il tempo, così come lo spazio, è una grandezza continua, Bartocci asserisce che spazio e tempo si intuiscono in modi inconciliabilmente differenti: il primo lo si percepisce densamente popolato da segmenti infinitamente divisibili, e il secondo lo si immagina costituito da intervalli non infinitamente suddivisibili.

Detto in altre parole, il modo in cui intuiamo lo spazio fisico nel quale ci muoviamo sarebbe molto simile al modello ideale dello spazio euclideo usato in geometria: uno spazio continuo costituito da punti infinitesimi e immateriali; mentre il tempo verrebbe percepito come un susseguirsi di attimi atomici ma non infinitesimali e quindi non infinitamente suddivisibili, cioè come un insieme discreto.

Per sottolineare chiaramente la distinzione tra spazio e tempo percepiti e spazio e tempo reali Bartocci fornisce anche una tabella che riassume la sua interpretazione.
Il movimento esiste nella realtà, e in quanto tale non implica alcuna contraddizione: esso è, semplicemente, come intendeva Diogene”, dice Bartocci.
Quindi la radice dei paradossi sarebbe solo nella nostra percezione della realtà e non nella realtà stessa. E, in particolare, nello scollamento tra nostra percezione intuitiva di spazio e di tempo da un lato e il modo in cui i paradossi vengono invece solitamente inquadrati da un punto di vista logico-razionale dall’altro.
L’errore sarebbe proprio nel nostro modo di rappresentare formalmente il tempo. Confondendo le sue caratteristiche con quelle dello spazio lo si tratta attraverso il concetto di "numero reale", che è valido, dice Bartocci, solo per esprimere le misure geometriche di segmenti ma non gli intervalli di tempo. 
Si scambia cioè la necessaria (per l'intuizione umana dello spazio) infinita suddivisibilità dei segmenti della retta spaziale R, con una corrispondente infinita suddivisibilità degli analoghi segmenti della retta temporale T, invece impossibile per l'intuizione umana”.

Alla domanda “come mai ci troviamo quasi d'accordo con Zenone, nel negare la "possibilità razionale" del movimento?" Bartocci risponde: “l'intelletto umano non può concepire l'infinita suddivisibilità di un segmento temporale, con la conseguenza che una somma infinita di siffatti segmenti non può essere per esso altro che divergente”.

Esprimendo il pensiero in termini più matematici Bartocci afferma che: “Accanto alla retta spaziale R, esiste - "nella nostra mente" - un'analoga retta temporale, indichiamola con il simbolo T. Si tratta di un insieme ordinato, meglio spazio ordinato, che rappresenta il tempo nell'intelletto, allo stesso modo che R vi rappresenta lo spazio, almeno nella sua manifestazione 1-dimensionale. Le due "rette" si "assomigliano" di fatto sotto diversi aspetti” … “La retta spaziale R è concepita però in maniera che tra un punto e l'altro ce ne sono sempre infiniti, sicché non c'è alcun modo di introdurre il successivo di un determinato punto. Al contrario, la retta temporale T appare formata da istanti "separati”, ogni istante ha un successivo e un precedente, tra un istante e un altro non si riesce a immaginarne infiniti. T è quello che si dice uno spazio ordinato discreto, mentre R è invece uno spazio ordinato continuo: insomma, R e T non sono strutture isomorfe. È lecito prendere in considerazione, sia in R che in T, delle serie, ossia delle somme infinite di segmenti, ed ecco che dalla fondamentale differenza strutturale tra le due "rette" procede la circostanza che deve ritenersi tanto l'origine dei paradossi, quanto la loro "soluzione": in R esistono delle serie di segmenti convergenti, in T ogni tale serie è necessariamente divergente.

Il semigruppo delle classi di equivalenza di segmenti associato a R, indichiamolo con S, non ha né minimo né massimo, quello associato a T, diciamolo Q, non ha massimo, ma ha un minimo, la classe d'equivalenza dei segmenti con due soli istanti ("il" segmento con due soli istanti). Q può ritenersi coincidere proprio con N = { 1,2,3,...} , l'insieme dei numeri che si dicono naturali.

In altre parole ancora, R e T sono strutture non isomorfe, né se le si riguarda come spazi ordinati, né come insiemi, cioè appare impossibile stabilire, per le caratteristiche proprie degli enti coinvolti, una corrispondenza biunivoca tra segmenti di spazio ideale percorso (elaborazioni della pura geometria della retta continua ideale), e associati segmenti di tempo. Ovvero, la nostra mente è costretta a concepire delle posizioni spaziali virtuali che non possono essere effettive, non possono essere di fatto occupate, non esistendo un istante in cui tale "occupazione" possa avere luogo. Una coppia ordinata del tipo posizione-istante, o spazio-tempo, è quello che si dice un evento, e potremo allora pure sintetizzare la nostra opinione asserendo che: non ogni posizione spaziale del tragitto di Achille corrisponde a un evento.

venerdì 22 luglio 2022

Parmenides Reloaded: tra eleatismo e moderne teorie dei campi

Oltre al libro di Giovanni CerriGustavo E. Romero, Parmenides Reloaded 1, è un altro dei testi a cui mi sono ispirato quando ho scritto le parti del mio nuovo (e ancora inedito) libro che citano il pensiero parmenideo.

Il professore di astrofisica relativistica Romero descrive la sua visione di uno spazio-tempo quadridimensionale e non dinamico in cui il divenire, quindi il tempo, non è una proprietà intrinseca della realtà. Questa e altre caratteristiche rendono la concezione romeriana dell’universo molto simile a quella parmenidea.

Nel suo poema, descritto da Romero come il primo esempio conosciuto di un sistema deduttivo applicato alla realtà fisica, Parmenide afferma che il divenire è un’illusione e che la realtà è immutabile, eterna e immobile. Molti secoli dopo, dice Romero, con l'avvento delle teorie dei campi, diventa chiaro che il cambiamento può avvenire anche in un universo completo. Infatti, una perturbazione in un campo che riempie l'inntero universo è un cambiamento.
Tuttavia, sebbene il concetto di cambiamento sia “centrale nel modello multiforme dello spazio-tempo, una volta che la geometria della varietà è determinata da un campo tensoriale che rappresenta la distribuzione di energia e quantità di moto, la sua struttura è fissa. I punti della molteplicità rappresentano eventi, ma non vi è alcun evento o cambiamento che influisca sullo spazio-tempo nel suo insieme. Lo spazio-tempo quadridimensionale, rappresentato matematicamente dal molteplice, è immutabile, eterno, immobile, unico, proprio come l'universo parmenideo. Gli oggetti che popolano l'universo sono quadridimensionali. Hanno "parti temporali", così come parti spaziali. In questo modo, il bambino che ero, è solo una parte di un essere più grande, io, che è quadridimensionale. Ciò che chiamiamo "nascita" e "morte" sono solo confini temporali di un tale essere. Il cambiamento appare solo quando consideriamo fette tridimensionali di oggetti quadridimensionali. Nelle parole di Max Tegmark: ‘Il passare del tempo è un'illusione. Abbiamo questa illusione di un mondo mutevole e tridimensionale, anche se nulla cambia nell'unione quadridimensionale di spazio e tempo della teoria della relatività di Einstein. Se la vita fosse un film, la realtà fisica sarebbe l'intero DVD: i frame futuri e passati esistono tanto quanto quello presente’”.
Romero offre anche un confronto tra spazio-tempo parmenideo e una sua interpretazione del pensiero di Eraclito proponendo che, a differenza di quanto si è pensato per millenni, probabilmente per una tradizione che ha origine in Platone, queste due visioni non siano incompatibili. Il kosmos (o spazio-tempo in una visione moderna) potrebbe essere immutabile e comunque formato da cose mutevoli, come il fiume di Eraclito.
Romero conclude affermando che Parmenide esiste in una regione dello spazio-tempo situata tra Elea e la Grecia, tra la fine del VI sec. a.C. e la metà del V sec. a.C., e per un po’ di tempo condivise il suo presente con Zenone. “Io”, scrive Romero, “esisto in un’altra regione dello spazio-tempo e non incontrerò mai Parmenide. Ma popoliamo entrambi lo stesso spazio-tempo e per questo mi sento fortunato”.

Marco Fulvio Barozzi ha scritto una recensione dell’articolo di Romero più approfondita della mia.

1 Foundations of Science 17 (3):291-299 (2012)

mercoledì 13 luglio 2022

L'interpretazione del pensiero parmenideo proposta da Giovanni Cerri - quarta parte - Dalla cosmologia alla dialettica - Paradossi di Zenone e la matrice parmenidea dell’atomismo

Giovanni Cerri et al., Dall'universo-blocco all'atomo nella scuola di Elea: Parmenide, Zenone, Leucippo, a cura di Massimo Pulpito e Sofia Ranzato, Academia


Quarta Parte - Dalla cosmologia alla dialettica

Per questa quarta parte riporterò perlopiù il testo di Cerri senza agiungere troppi commenti.

"I nuovi filosofi, che possiamo chiamare post-socratici, avendo posto la dialettica al centro del loro pensiero, elaborarono sistemi fisici, concepiti come lunga catena di enunciati legati l'uno all'altro dal principio di non contraddizione e non come riflessione operativa su un'attività di ricerca fisico-matematica militante e originale. Esempio tipico e superbo di questo tipo di costruzioni teoriche fu la Fisica di Aristotele. Si verificò quindi una vera e propria ridislocazione disciplinare. La fisica, la matematica, l'astronomia furono ritenute discipline specialistiche e lasciate a specialisti, che per parte loro non si occupavano più di sintesi finali di ordine cosmologico. La filosofia includeva bensì tra i suoi grandi capitoli la fisica, ma la fisica filosofica, non quella “scientifica”. La cosmologia in senso forte restò senza padri; sostanzialmente scomparve.

I nuovi filosofi ripresero in mano gli scritti degli antichi, con l'intento lodevole di fare la storia della propria disciplina, ma senza rendersi conto che quegli scritti configuravano una disciplina ben diversa dalla loro, a dispetto dei nomi comuni e ambigui di 'filosofia' e di 'fisica'. Li ripresero in mano e li sottoposero a disamina dialettica: credettero di trovare qua e là intuizioni apprezzabili, ma soprattutto errori logici, da loro attribuiti a una pretesa arcaicità e primitività di quei pensatori, ancora ignari della logica, fondata dopo di loro. Esemplare in questo senso è il giudizio di Eudemo, secondo cui i pensatori antecedenti alla scoperta della dialettica e della logica, 'enunciavano senza dimostrazione'. E pronuncia questa sentenza stroncatoria proprio a proposito della teoria parmenidea dell'ente uno!

È vero: enunciavano senza dimostrazione. Ma non avrebbero potuto fare altrimenti. Per quanto riguarda i loro teoremi matematico-geometrici e astronomici, dovevano di necessità limitarsi ad enunciazioni indimostrate, perché non era ancora nata al loro tempo la prassi del trattato minuzioso ed esaustivo, i loro scritti erano istituzionalmente manuali elementari e divulgativi. Le dimostrazioni c'erano, ma restavano nella loro testa e nel loro insegnamento orale. Per quanto riguarda invece le proiezioni di cosmologia generale, esse erano effettivamente prive di dimostrazione, perché non erano e non potevano essere teoremi compiuti, ma erano congetture ardite sulla natura ultima delle cose, le congetture che sembravano loro più verosimili sulla base dell'insieme dei loro saperi particolari, ma pur sempre intuitive, ipotetiche, tutte da verificare nel prosieguo della ricerca.

E, data questa loro natura di abbozzo concettuale, erano espresse in metafore immaginose ed esemplificative, non in una terminologia univoca e rigorosa, che non erano in grado di attingere.
La cosmologia presocratica, ivi compresa quella parmenidea del monoblocco corporeo, deve essere perciò considerata l'antenata, piuttosto che della metafisica filosofica, di quelle sintesi cosmologiche e/o cosmogoniche che spesso coronano il percorso teorico dei fisici più avanzati dei nostri giorni. Anche i loro scritti sono insieme congetturali e divulgativi come quelli dei presocratici.“.


Paradossi di Zenone e la matrice parmenidea dell’atomismo

Cerri conclude icosì la sezione del libro che si occupa di Zenone: “Sui paradossi di Zenone si è sviluppata un' imponente letteratura critica in epoca moderna ad opera di matematici, fisici ed epistemologi che, a differenza di troppi storici della filosofia e filologi loro contemporanei, hanno mostrato di prenderli molto sul serio e hanno fatto ricorso a tutta la loro dottrina, ovviamente ben più evoluta di quella di Zenone, per cercare di risolverli. La maggior parte di loro alla fine però è incline a concludere che quelle aporie conservano un margine ineliminabile di aporeticità, nonostante i tentativi analitici più sofisticati.

Ciò dimostra che Zenone, ma certo prima di lui già Parmenide, avevano saputo cogliere fino in fondo il mistero insolubile delle antinomie uno-molti, tutto-parti, continuo-discontinuo, finito-infinito, ecc. Si illudevano di averlo risolto con la fuga in avanti (o all'indietro) dell'uno-tutto-continuo, che fu da un certo punto di vista anche una fuga dal problema stesso. Ma questo e un altro discorso.

Come si è visto, nel corso del mio lavoro non ho fatto alcun cenno a questa pregevolissima letteratura fisico-matematica, anche se poi, nella bibliografia finale, non ho mancato di inserire alcuni contributi, che per altro ho letto attentamente, anche se non sempre sono stato in grado di comprenderli fino in fondo. La ragione di questa mia omissione è che il mio intento non è stato in nessun caso quello di risolvere i problemi posti da Zenone, non solo perché non ne sarei capace, ma anche perché sono fermamente convinto che siano insolubili. Ho voluto invece: 1) Ricostruire filologicamente i termini esatti in cui Zenone pose i suoi problemi; 2) Capirne il senso finale, la funzione argomentativa, che ho creduto di ravvisare nella denuncia delle aporie dell'idea di molteplice, a sostegno dell'idea parmenidea di uno. In sostanza ho voluto fare opera di filologo e di storico del pensiero presocratico, non di matematico, fisico o filosofo, che non sono e non intendo essere”.

Infine, la sezione del libro su “Leucippo e la matrice parmenidea dell’atomismo”, evidenzia la paradossalità del rapporto tra eleatismo e atomismo, che è di opposizione radicale e di continuità profonda al contempo. Riducendola ai minimi termini, Cerri afferma: "gli atomisti del V secolo a.C., per salvare i fenomeni dalla negazione eleatica, sostituirono all'unicità dell'essere la pluralità infinita degli atomi; riconoscendo cioè la validità sostanziale dell’ontologia di Parmenide, trasferirono sui singoli atomi le caratteristiche fondamentali che egli aveva assegnato all'essere unico, tutte, tranne ovviamente l'unicità: dunque, l'unità, l'indivisibilità, l'impenetrabilità, I'eternità, l'immutabilità". 

L’autore nota anche che la ricostruzione più generale, secondo cui l'atomismo sarebbe uno sviluppo logico dell’eleatismo, era già presente nella critica antica. Già Aristotele osserva che sia gli atomisti, sia Parmenide sostenevano: ciò che esiste in senso stretto: ‘non può che essere assolutamente pieno’, ma per gli atomisti ‘questo ente non è uno, ma ve ne sono infiniti per numero, per giunta invisibili, data la piccolezza delle loro masse’. Il rapporto analogico tra ente macroscopico di Parmenide ed enti microscopici degli atomisti sarebbe quindi evidente e incontestabile. E la seconda dottrina sarebbe una nuova congettura fisica intesa a superare le aporie nelle quali incorreva la prima.

mercoledì 6 luglio 2022

L'interpretazione del pensiero parmenideo proposta da Giovanni Cerri - terza parte - Affinità rispetto a Hawking e alla teoria quantistica dei campi

Giovanni Cerri et al., Dall'universo-blocco all'atomo nella scuola di Elea: Parmenide, Zenone, Leucippo, a cura di Massimo Pulpito e Sofia Ranzato, Academia


Terza parte - Affinità rispetto a Hawking e alla teoria quantistica dei campi

Sempre sul paragone tra Parmenide e gli altri presocratici, il filologo classico, grecista e traduttore, Giovanni Cerri afferma che a un’attenta rilettura dei frammenti pertinenti “si deve concludere che Parmenide non si propone, come tutti gli altri filosofi della natura, di individuare il principio oggettivo della realtà ma vuole invece descrivere il meccanismo attraverso cui la mente umana, partendo da impressioni puramente sensoriali, ha elaborato una prima fallace distinzione, dalla quale sono discese tutte le altre e sulla quale si è costruito il complesso sistema di nozioni che, contrassegnate ciascuna da una parola, coincidono col patrimonio linguistico”.

Sulla temporalità dell’Ente Cerri afferma che “la sesta tra le categorie ontologiche elencate da Parmenide è quella per cui l’Ente è eternamente perfetto: ‘incompiuto mai non fu né sarà, perché è tutto insieme adesso’. Se fosse nel tempo, avrebbe una storia, in ogni momento della quale sarebbe ‘incompiuto’ rispetto al momento successivo. E questo non è pensabile. Supera dunque tutti i tempi finiti, e in questo senso è temporalmente infinito; ma non si stende per tutti gli infiniti tempi finiti, bensì è presente immoto, senza passato né futuro, e in quest’altro senso è temporalmente finito. Dunque l’ente è temporalmente insieme infinito e finito; meglio, è atemporale. … l’eternità atemporale è paragonabile ad un attimo fuggente sottratto alla catena passato-presente-futuro. Per lo stesso problema, i fisici del Novecento adducono anche il paragone con una pellicola cinematografica srotolata e tutta compresente allo sguardo di un osservatore“.

Sulla spazialità dell’Ente: “L’analogia con lo spazio geometrico ci porterebbe a dire che l’ente è spazialmente infinito. Ma qui non si tratta di spazio geometrico, ma di spazio reale e cosmologico. Se fosse infinito spazialmente, l’ente sarebbe incapace dell’equilibrio statico che lo contraddistingue: aperto all’infinito in tutte le direzioni, sarebbe dappertutto imperfetto nello spazio, come lo sarebbe nel tempo, se la sua eternità fosse durata infinita. Certo non c’è punto dello spazio reale, apparentemente infinito, che non sia ricompreso nell’ente; ma lo spazio reale non può essere realmente infinito. Anche dal punto di vista dello spazio, come dal punto di vista del tempo, Parmenide ricorre ad un paragone, per dare l’idea di uno spazio insieme infinito e finito, di un finito illimitato: è il paragone con la superficie curva di una sfera ben forgiata da un artigiano.
Il paragone è certo di ordine geometrico, ma la sfera in questione non è la sfera geometrica, ma una sfera artigianale, realizzata alla perfezione, in pietra, in terracotta o in bronzo. C’è però un possibile equivoco da evitare: Parmenide non dice affatto che l’Ente totale abbia forma sferica; la superficie sferica viene evocata soltanto come termine di paragone per la finitezza illimitata, l’equilibrio perfetto, e l’isonomia assoluta che lo connotano”.

Nella sua interpretazione Cerri evidenzia più volte dei paralleli tra il pensiero di Parmenide e la fisica moderna. In un capitolo intitolato al parmenidismo inconsapevole di Hawking trascrive alcune riflessioni teoriche del grande fisico britannico per mostrare come queste “sembrino quasi una parafrasi di Parmenide, e come la fisica contemporanea possa giungere a proiezioni epistemologico-cosmologiche del tutto affini a quelle dell'eleatismo, sulla base di identificazioni scientifiche, quali spazio=tempo, materia=energia, infinito=finito. Identificazioni non meno conturbanti per la nostra sensibilità comune di quanto lo furono per la sensibilità corrente dei Greci del VI-V secolo a.C. le identificazioni proposte dalla scienza ionica. Purtroppo, grazie al travisamento del pensiero di Parmenide operato dagli storici della filosofia e della letteratura, accade che spesso gli scienziati moderni non si rendano conto della coincidenza, continuità o semplice analogia che essa sia. Tra l’altro, il confronto contribuisce a chiarire che la dottrina di Parmenide è effettivamente un’ontologia cosmologica generale, postulata sulla base dell’indagine fisica, non un’elucubrazione puramente logico-dialettica o una metafisica filosofica, in senso post-aristotelico.

Cerri riporta anche alcuni considerazioni di un altro fisico-cosmologo del nostro tempo, Fritjof Capra, per cui alcuni aspetti della fisica moderna, quali l’apparenza dell’universo come un tutto unico e inseparabile, che comprende sempre l’osservatore in modo essenziale, e anche la perdita del significato di concetti tradizionali quali quelli di spazio tempo, quelli di oggetti isolati e quelli di causa ed effetto, avrebbero molte similitudini con le esperienze di alcuni mistici orientali; che elaborarono concetti come quello dell’Universo/Uno e quello della molteplicità come effetto del rapporto di esso con l’osservatore umano, la cui mente lo scompone illegittimamente in categorie soggettive. “Capra trova un termine di confronto col misticismo orientale che, certo, per via mistico-intuitiva ha elaborato visioni analoghe; ma non pensa a Parmenide, che giunse alle stesse conclusioni per via scientifica, come i fisici del Novecento. Non lo conosce o, meglio, lo conosce attraverso le parafrasi moderne, che non dicono nulla in proposito”. Capra afferma anche che “‘la fisica moderna ha confermato nel modo più drammatico una delle idee fondamentali del misticismo orientale: tutti i concetti che usiamo per descrivere la natura sono limitati: non sono aspetti della realtà, come tendiamo a credere, ma creazioni della mente; sono parti della mappa, non del territorio’. Di nuovo il misticismo orientale! Non c’è nulla di male. Ma perché nulla su Parmenide, vero patriarca e archegeta della cosmologia fisica attuale?

Nello stesso capitolo Cerri elabora anche un parallelo tra concetti della moderna teoria quantistica dei campi e i concetti parmenidei di Essere tutto pieno e di inesistenza del Vuoto-Non Essere: “La teoria dei campi della fisica moderna ci costringe ad abbandonare la classica distinzione tra particelle materiali e vuoto. La teoria del campo gravitazionale di Einstein e la teoria dei campi mostrano entrambe che le particelle non possono essere separate dallo spazio che le circonda. Da una parte, esse determinano la struttura di questo spazio, mentre dall’altra non possono venire considerate come entità isolate, ma devono essere viste come condensazioni di un campo continuo che è presente in tutto lo spazio. Nella teoria dei campi, il campo è visto come la base di tutte le particelle e delle loro interazioni reciproche. Il ‘vuoto fisico’ – come è chiamato nella teoria dei campi – non è uno stato di semplice non-essere, ma contiene la potenzialità di tutte le forme del mondo delle particelle. Queste forme, a loro volta, non sono entità fisiche indipendenti, ma soltanto manifestazioni transitorie del vuoto soggiacente ad esse. Dunque, la fisica moderna esclude il vuoto, perché quello che sembra vuoto è in realtà ‘campo magnetico’ o ‘campo gravitazionale’, non disomogeneo rispetto alla materia, anzi ad essa equipollente e con essa convertibile secondo parametri di equivalenza. È giunta a questa conclusione per via sperimentale, attraverso il bombardamento meccanico degli atomi e delle particelle sub-atomiche. Parmenide era giunto all’esclusione del vuoto-Non Essere venticinque secoli prima, non per via di intuizione mistica, ma per via teoretica, tenendo fermi i due principi elementari che ‘nulla nasce dal nulla’ e che ‘l’effetto non può non essere identico alla causa’. Non aveva idea delle ‘stringhe magnetiche equipollenti alle particelle subatomiche’, ma si inchinava all’idea razionalissima che la Natura non ammette salti miracolosi.