lunedì 8 ottobre 2012

La coppa di Pitagora: come funziona?


Tra gl'invitati della cena di sabato c'era una coppia di amici che non vedevo da un po'. Erano tornati da poco dalla loro seconda vacanza a Samo in due anni.

Conoscendo la mia passione per il più illustre tra i figli di Samo hanno pensato bene di regalarmi la coppa di Pitagora. L'amico mi ha spiegato che la particolarità di questa coppa è quella di consentire solo l'inserimento di una quantità limitata di liquido.
Infatti se si supera un certo livello il liquido fuoriesce dal buco situato sotto la base della coppa. La tradizione vuole che questa coppa sia stata inventata da Pitagora per insegnare la sobrietà ai suoi allievi.

- Ah, quindi c'è un buco sulla sommità del cilindro interno? - ho chiesto al nostro amico.
- No, il buco è vicino alla base del cilindro - mi ha risposto il nostro amico mostrandomi l'interno della coppa.

Le cose non mi quadravano, così ho fatto una prova davanti a tutti gli ospiti. E con grande sorpresa abbiamo visto che, una volta superato il livello di soglia, a fuoriuscire dal foro inferiore non era solo il liquido al di sopra del livello, bensì tutto il liquido contenuto nella coppa (quasi). Al che sono partite varie ipotesi di modelli coppapitagorici.
Dopo qualche discussione un altro amico ha detto che secondo lui il fenomeno aveva a che fare con i vasi comunicanti. Zucchero ha quindi proposto un suo modello che però non mi ha convinto molto. Poi si è passati a discutere di altro.

Ieri mattina la discussione mi è tornata in mente e ho pensato a un altro modello. L'ho abbozzato su un foglio (prima immagine della fotografia di sinistra) e l'ho mostrato a Zucchero. Ella mi ha quindi fatto lo schizzo del suo modello (seconda immagine della fotografia di sinistra). Inizialmente ho ribadito la mia scarsa convinzione. Poi ho pensato che probabilmente i due modelli sono equivalenti dal punto di vista del risultato finale.
Alla fine mi è venuto in mente che probabilmente avrei potuto trovare la soluzione anche in rete. E infatti ho trovato addirittura una pagina di Wikipedia dedicata alla coppa di Pitagora.

E lì la soluzione sembra confermare il mio modello.
Ma poi, tra le immagini della pagina inglese, abbiamo trovato anche la foto di sinistra che sembra invece più simile al modello di Zucchero. Quindi ora un dubbio mi attanaglia.

Qualche lettore esperto di idraulica potrebbe aiutarci a sciogliere il nodo gordiano della coppa di Pitagora?

domenica 7 ottobre 2012

Pitagora (quinta parte) - Ippaso, l'incommensurabile e il crollo della scuola


Nella puntata precedente dicevamo che i pitagorici erano giunti alla conclusione di poter decifrare le leggi che regolano l’Universo attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri e che questa conclusione spinse loro ad impegnarsi in una ricerca ossessiva di tali proprietà. La scuola così si trasformò lentamente in una sorta di setta di numerologi e questo assetto funzionò senza grosse variazioni fino al giorno in cui un adepto della scuola si accorse della presenza di un grosso problema. E del fatto che quel problema si annidava proprio dentro il teorema del Maestro. Dentro il teorema di Pitagora!

Ma chi era questo adepto? E che cosa trovò di tanto sconvolgente da far vacillare le fondamenta della scuola?

Forse per capirlo meglio dovremmo partire da una storia raccontata da Aristosseno di Taranto (IV secolo a.C.). La storia di Aristosseno si riferisce anch'essa alla più grande scoperta dei pitagorici. Quella narrata nella puntata precedente. In cui i pitagorici si accorsero che fenomeni acustici percepiti dal nostro orecchio sono correlati al rapporto tra grandezze fisiche dei corpi che producono i suoni; e che tali suoni sono a loro volta descritti attraverso rapporti matematici tra numeri. Abbiamo visto che la tradizione tramandata da Giamblico (245 – 325 d.C.) ambienta tale scoperta nella bottega di un fabbro di Crotone. E vuole che Pitagora si sia accorto di questa relazione tra suoni e numeri ascoltando le martellate che provenivano dalla bottega. Solo che, come abbiamo visto, per quanto narrativamente efficace, la storia di Giamblico contiene errori oggettivi. La stessa cosa non si può dire invece per la storia di Aristosseno: essa non contiene errori e fornisce una narrazione alternativa in cui il protagonista della scoperta non sarebbe Pitagora, bensì Ippaso di Metaponto.

Secondo questa storia Ippaso, uno dei migliori allievi della scuola pitagorica, avrebbe costruito uno strumento usando quattro dischi di bronzo di uguale diametro e spessore diverso. E provate a indovinare in che modo fossero correlate le differenze di spessore? Ebbene sì, sempre attraverso loro: i rapporti tra i primi quattro numeri. Lo spessore del primo disco era quindi 4/3 di quello del secondo, 3/2 di quello del terzo e due volte quello del quarto. Ippaso avrebbe quindi appeso i quattro dischi a quattro corde e avrebbe verificato che, se percossi, essi emettevano suoni consonanti. Come dicevamo, questo esperimento è corretto e ripetibile da un punto di vista fisico. Infatti la frequenza di oscillazione di un disco è direttamente proporzionale al suo spessore.
Ma allora chi fu a scoprire che i fenomeni acustici sono descrivibili attraverso rapporti matematici tra numeri? Pitagora nella bottega del fabbro, come riporta Giamblico? Oppure Ippaso con i suoi dischi di bronzo, come racconta Aristosseno?
A voi l'ardua sentenza.
Quello che possiamo dire oggi è che quella correlazione tra dimensioni fisiche e suoni era probabilmente già nota da tempo. Ai costruttori e agli accordatori di lire ad esempio. Essi dovevano avere, se non altro, una conoscenza applicativa di tale correlazione. Altrimenti come avrebbero costruito e accordato quegli strumenti? Ma ciò che probabilmente mancava loro era la consapevolezza della profondità e della vastità di tale correlazione. Un po' come le antiche civiltà che possedevano una conoscenza applicativa del teorema di Pitagora e di altri risultati senza comprenderne appieno la portata teorica. E così come nel caso del teorema di Pitagora anche per questa correlazione furono i pitagorici che per primi cominciarono a intravedere la profondità e l'ampiezza di tale scoperta.

Ma tornando alla domanda su Ippaso e l'altra scoperta, quella del grande problema che citavamo all'inizio: che cosa scoprì esattamente questo giovane adepto? Ecco, parrebbe che Ippaso sia stato il primo ad accorgersi dell'esistenza di un oggetto non misurabile attraverso un numero.
E allora? - direte.
Be', alla base della dottrina e del motto dei pitagorici, Tutto è Numero, c'era proprio l'idea che qualsiasi oggetto esistente in natura potesse essere misurato e quindi espresso attraverso un numero. Ma se un giorno qualcuno ti mostra un oggetto non misurabile attraverso un numero allora tutta la tua teoria crolla. Perché non è più vero che qualsiasi oggetto esistente in natura può essere misurato.
E allora che fai? Chiudi scuola, baracca e burattini e dici: scusate, tutta la nostra teoria era sbagliata? (Un po' come fece Gottlob Frege più di due millenni dopo cestinando anni e anni di lavoro quando il giovane Bertrand Russell gli mostrò un semplice paradosso che evidenziava un buco nella sua teoria). Certo, ci vuole un bel coraggio e tanta onestà intellettuale  E sembra che i pitagorici non ne ebbero abbastanza di coraggio e onestà. La tradizione ci racconta infatti che essi decisero di mantenere segreta la scoperta.
Be', non è una sorpresa - direte. Visto che tutte le attività e gli insegnamenti che occorrevano all'interno della scuola erano mantenuti strettamente segreti e chi infrangeva la regola veniva dichiarato addirittura morto. Ma pare che in questo caso i pitagorici si spinsero un po' oltre facendo sconfinare dall'ambito virtuale quella dichiarazione di morte. Sempre il solito Giamblico infatti ci racconta che Ippaso, dopo la scoperta dell'oggetto incommensurabile e dopo il suo rifiuto di mantenere la segretezza di tale scoperta, venne condannato a morte per annegamento.
Prendendo per vera questa versione se ne può concludere che i pitagorici reagirono in modo poco scientifico - almeno secondo l'accezione moderna del termine - in quanto imposero il silenzio di fronte a una scoperta che avrebbe falsificato la loro teoria, ma allo stesso tempo la loro reazione non sconfinò troppo nella "ascientificità", in quanto essi non si misero ad inventare una spiegazione ad hoc per risolvere il problema come spesso succede in ambiti non scientifici. Ad ogni modo, visto il rifiuto di Ippaso nel mantenere la segretezza, la teoria del Tutto è Numero, che era poi un vero e proprio culto, ne uscì fuori totalmente demolita. Probabilmente questo è il prezzo che si paga quando, forse unico caso nella storia dell'umanità, si fonda una mistica solo su elementi razionali.

Ma ora vi chiederete sicuramente qual era l'oggetto non misurabile attraverso un numero che Ippaso scovò.

Diciamo che anche questa è una domanda ancora aperta. Ho scritto che quel problema si annidava proprio dentro il teorema del Maestro. E questo è vero. Ma in realtà quello che non sappiamo è se Ippaso trovò quell'oggetto proprio lì tra i triangoli rettangoli o da qualche altra parte. Esistono infatti diverse narrazioni e ipotesi in merito. Ma questo lo vedremo nella seconda parte.

... continua ...

Se poi qualcuno volesse leggere l'episodio, tratto da un frammento del libro che il giovane pitagorico Fulivao scrisse basandosi sulle memorie narrategli dal maestro pochi giorni prima della sua dipartita verso i Campi Elisi, in cui Ippaso con i suoi dischi di bronzo e Teano con delle corde approfondiscono la relazione tra musica e numeri non ha che da cliccare qui.

Indice della serie

martedì 2 ottobre 2012

Viaggio pitagorico: Taranto - il Museo della Magna Grecia

Mercoledì 6 giugno

Uno dei motivi principali per cui abbiamo incluso Taranto in questo viaggio è il Museo archeologico nazionale di Taranto in cui è esposta una delle più grandi collezioni di manufatti dell'epoca della Magna Grecia, tra cui gli ori di Taranto.

Degli ori di Taranto fanno parte questo orecchino a navicella in oro (IV sec. a.C.) e gli altri ori delle fotografie che seguono.
Orecchini ad elice in oro (IV sec. a.C.)
Orecchino a disco con pendente conico in oro (III sec. a.C.).

Aulos in osso (inizi III sec. a.C.)
Bambole e terrecotte policrome (IV sec. a.C.)
Stateri, dracme, dioboli, oboli, emioboli.
All'uscita dal museo c'imbattiamo nella chiesa di San Pasquale Baylon. Santo il cui nome avevo sentito molte volte in passato ascoltando questa canzone.

Dopo quest'abbuffata di cozze, vicoli e musei tarantini usciamo dalla fase pitagorica del viaggio per recarci a  Matera e poter finalmente ammirare i celebri sassi.

Viaggio pitagorico: Metaponto

Martedì 5 giugno

Nel pomeriggio attraversiamo i confini calabro-lucani per proseguire il nostro viaggio sulle orme di Pitagora e raggiungere la terza tappa: Metaponto, la città che diede i natali a Ippaso e che vide spegnersi il maestro dopo che egli ebbe trascorso in esilio gli ultimi giorni della sua vita.
Anche Metaponto fu fondata dagli achei, un secolo dopo Sibari, nella seconda metà del VII secolo a.C. Fu Sibari stessa a richiedere alla madre patria la fondazione di una nuova colonia per contrastare l'espansione della colonia spartana di Taranto, che insieme a Crotone costituiva la tenaglia dei nemici di Sibari. I coloni scelsero ovviamente una posizione bella e strategica, delimitata dai fiumi Bradano e Basento e su tre lati dal mare. Metaponto divenne molto presto una delle città più importanti della Magna Grecia.
Nel Museo Archeologico Nazionale di Metaponto ammiriamo molti reperti interessanti. Tra cui questi vasi prodotti a Metaponto nel VI sec. a.C. Da notare anche qui le svastiche orientate in senso antiorario.


Ma più interessante di tutto mi sembra la sezione dedicata alla donna della Magna Grecia. Guardate ad esempio questi orecchini d'oro a navicella e lo specchio di bronzo visibile dietro di essi (IV sec. a.C.).
E che dire di questa ricostruzione dell'abbigliamento femminile dell'epoca?
Qui vengono mostrati vari tipi di fibula,
qui i chitoni di tipo ionico e dorico
e qui vari tipi di acconciature femminili.


Lasciato il museo andiamo a visitare gli scavi.

La parte più interessante è la zona centrale della città. Quella riservata alle funzioni di carattere pubblico: con il santuario, il teatro e l'agorà. A me interessano in modo particolare il tempio di Hera e quello di Apollo.
Il tempio di Hera è quello più grande dell'area urbana ed è costruito secondo i canoni dello stile dorico-acheo. Quella delle grandi dimensioni dei templi e dei santuari di Hera è una costante in molte città della Magna Grecia. Alla divinità, infatti, veniva riconosciuto un indiscutibile primato in tutte le colonie achee della Magna Grecia. Sarà un caso che queste zone conobbero in epoche diverse una vasta diffusione del culto della vergine Maria? 
Addirittura a Paestum c'è il santuario della Madonna del Granato. Sarà un caso che il frutto sacro ad Hera era la melagrana?
In particolare il tempio di Hera di Metaponto era costituito da 8 x 17 colonne. Queste dimensioni unite allo stile pesante delle forme architettoniche ed al mancato rispetto dei rapporti dimensionali tra le varie parti, segno dell'alta arcaicità dell'edificio (570-530 a.C.), lo fanno classificare come uno dei primi e più grandi templi della Magna Grecia concepiti interamente in pietra.
Prospetto frontale orientale - Prospetto laterale 


Il tempio di Apollo Liceo presenta due distinte fasi costruttive entrambe caratterizzate dalla presenza del colonnato centrale all'interno della cella e dall'assenza dell'ambiente porticato posteriore (opistòdomo). Caratteristiche che si trovano anche nel tempio arcaico di Hera di Poseidonia-Paestum. Il progetto del primo edificio, iniziato intorno alla metà del VI sec. a.C., propone una pianta stretta e lunga, con una peristasi maggiori di quella del tempio di Hera, 9 x 17 colonne doriche, ma il progetto non fu mai portato a termine. 
La peristasi del nuovo e definitivo tempio è minore della precedente: 7 x 15 colonne. Ed essa venne inoltre parzialmente chiusa con un muro la cui struttura portante era formata da mezze colonne. Questa di struttura con mezze colonne decorative e portanti è il primo esempio noto del genere nell'architettura greca.


Dopo aver visitato il Santuario visitiamo infine la zona del teatro e dell'agorà e quindi ci rimettiamo in auto per andare a visitare santuario extraurbano di Hera.

Così come Crotone con il santuario di Hera a Capo Lacinio anche Metaponto aveva il suo luogo sacro esterno alla città dedicato alla dea. Posto in un'area strategica questo santuario rappresenta una tappa importante per il nostro viaggio. 
La tradizione popolare lo vuole infatti sede della tomba di Pitagora.
Il tempio è in stile dorico periptero con 6x12 colonne. Fu costruito nella seconda metà del VI sec. a.C. con lo stesso progetto architettonico del santuario urbano dedicato anch'esso a Hera.

Dopo le visite archeologiche decidiamo di non pernottare a Metaponto e ci rimettiamo in viaggio per Taranto. Il viaggio pitagorico in senso stretto finirebbe qui. Nel luogo della morte del maestro. Ma come non considerare il Museo nazionale della Magna Grecia come un completamento ideale di tale percorso?