lunedì 24 ottobre 2011

Dove Pitagora, Ippaso e Teano approfondiscono la relazione tra musica e numeri (prima parte)


In una delle nostre interviste Cerbero ci ha raccontato della scoperta di Pitagora nella bottega del fabbro. Secondo Giamblico, quella scoperta condusse i pitagorici ad immaginare una generalizzazione per cui partendo a ritroso dalla matematica si sarebbero potuti interpretare tutti i fenomeni fisici dell’Universo. L’idea era molto affascinante: attraverso la decifrazione delle proprietà dei numeri si sarebbe giunti a decifrare l’universo. 


La matematica è quindi l'espressione della razionalità dell'universo? E il suo senso è iscritto nelle leggi stesse che regolano la realtà in cui viviamo?

Questo Giamblico non ce lo dice. Però forse il racconto di come i pitagorici passarono da quella semplice osservazione nella bottega di un fabbro all'elaborazione della teoria del “Tutto è Numero” potrebbe aiutarci a capire. Vogliamo farcelo raccontare direttamente a Pitagora? 
Alcuni dei lettori conoscono già: l'adePhone 5, ma quello che nessuno ancora sa è che dopo giorni di trattative in cui ho dovuto acquistare diverse offerte di Cerbero sono riuscito finalmente ad ottenere il numero diretto di Pitagora, così non saremo più costretti a passare per quei fastidiosi centralini.


Allora, componiamo il numero: 101 010 10.
- Το Παν είναι Αριθμός!
- Maestro, che piacere risentirvi!
- Andiamo al dunque, mi dica che le serve stavolta.
- Vi ricordate che vi avevo chiesto di raccontarmi di come si svilupparono le ricerche dopo la scoperta nella bottega del fabbro, ma voi preferiste rispondere alla seconda domanda sulla scoperta dell'irrazionale?
- Certo che mi ricordo.
- Ecco, ora gradirei avere una risposta alla prima domanda.
- Oggi mi sento magnanimo e gliela concedo. Le leggerò il capitolo corrispondente sul libro del giovane Fulivao, quello basato sulle mie memorie che ormai lei dovrebbe conoscere bene. Vado a cominciar...


- Uno, due, tre... - Era la voce del maestro quella che proveniva dall'officina della scuola. - ... quattro, cinque, sei... - Quella era invece chiaramente la voce di Teano. Incuriosito Ippaso entrò.
- Ippaso, siediti pure - disse Teano mentre passava l'ultima corda a Trasibulo. Lo schiavo appese quel filamento di intestino di capra vicino agli altre sei. Sette corde ora pendevano dalla trave di una singolare struttura di legno.
- Vedo che l'esperimento con le corde si sta finalmente concretizzando - osservò Ippaso.
- Sì, solo che Pitagora non ha voluto darmi ascolto. Lui sostiene che per riprodurre le consonanze delle incudini si devono usare diverse corde di uguale lunghezza e spessore ed appendere un peso diverso ad ognuna di esse.
- Mi sembra chiaro Teano - intervenne il maestro. - Non capisco perché ti ostini a contraddirmi. Nella bottega di Gerone abbiamo visto che quando un'incudine era il doppio di una e due terzi dell'altra si producevano consonanze. Da cui abbiamo dedotto che i rapporti con i numeri 1, 2 e 3 danno luogo a consonanze. Mentre se i numeri in gioco erano più grandi, come nove e dieci, allora avevamo delle dissonanze. Con questi esperimenti sulle corde vorrei verificare che cosa succede quando si aggiungono altri rapporti con numeri più piccoli di nove, come ad esempio 4/3, 5/4 e 6/5.
 - Vedo le corde già disposte, ma non vedo i pesi - osservò Ippaso. - Li avete già fatti forgiare da Gerone?
- No, li ho fatti forgiare da Filippo l'orafo. Serviva un lavoro di precisione non una cosa da fabbri.
- Se ho ben capito il secondo peso dovrebbe essere il doppio del primo, il terzo 3/2 del primo e così via.
- Non esattamente. Il secondo è il doppio del primo ma il terzo è 3/2 del secondo, il quarto è 4/3 del terzo e così via.
- Mi sembra che il risultato non dovrebbe essere molto diverso rispetto a quello che si otterrebbe con i rapporti che dicevo io.
- No, si tratterebbe solo di far vibrare le corde nella sequenza giusta. Con i tuoi rapporti bisognerebbe fra vibrare la prima con la seconda, la prima con la terza, la prima con la quarta e così via. Con i miei rapporti invece si fa vibrare la prima con la seconda, la seconda con la terza, la terza con la quarta e così via. Ho scelto questa sequenza per facilitare il lavoro all'orafo.
Ippaso ci pensò un attimo. - Mi sembra ragionevole - disse. - Così le differenze tra i pesi saranno più grandi. - Poi si volse verso Teano e continuò: - Come mai tu non sei d'accordo?
- Non so, l'intuito mi dice che non funzionerà. Secondo me i pesi dovrebbero essere identici mentre a variare con quei rapporti dovrebbero essere le corde a cui li appendiamo.
- Ma no! - ribatté Pitagora. - Se per le incudini la consonanza dipendeva dalle dimensioni, allora nel nostro esperimento essa dovrebbe dipendere dai rapporti tra i pesi. In ogni caso tra qualche istante saremo in grado di verificarlo. Trasibulo, portami i pesi.
Lo schiavo si avvicinò con un vassoio di legno su cui erano disposti sette cilindri d'argento ordinati dal più piccolo al più grande. La sommità di ogni cilindro era modellata ad occhiello. Il maestro legò ogni cilindro all'estremità inferiore della reciproca corda, facendo attenzione a usare la stessa porzione di corda per ogni nodo; e poi cominciò a far vibrare le corde con un plettro di corno. Pizzicò la prima e poi la seconda corda. C'era qualcosa di strano. Pitagora corrugò la fronte. Fermò la vibrazione della prima corda con un dito e pizzicò la seconda e la terza. Poi ripeté l’operazione con la terza e la quarta, la quarta e la quinta, la quinta e la sesta. Il maestro si fermò. Scosse la testa. No, c'era qualcosa di strano. Il risultato era chiaramente diverso da quello ascoltato nella bottega di Gerone.  In quel momento si accorse che sua moglie lo stava guardando con un sorriso beffardo. 


…continua…

venerdì 14 ottobre 2011

Carnevale della Matematica #42


Il Carnevale della Matematica del 14 ottobre, il numero 42, è ospitato da Maurizio Codogno su Il Post. Il tema di questa edizione è “numeri e letteratura”.
Per il prossimo mese mi sono armato di coraggio e mi sono proposto come organizzatore dell'edizione numero 43 del Carnevale della Matematica sul questo blog. Cito la frase finale dell'edizione di oggi:


Vi lascio ricordando che l’edizione numero 43 del Carnevale della matematica sarà ospitato da Pitagora e dintorni; inviate i vostri contributi a dionisoo chiocciola gmail punto com

Mi raccomando, non perdete l'appuntamento il 14 novembre!

Così  Maurizio Codogno introduce il mio contributo fuori tema al Carnevale della Matematica #42:

Dioniso nel suo Blogghetto continua la storia di Pitagora e dei pitagorici: in questa terza parte, La famiglia, Muia, Teano e il ruolo delle donne nella scuola. Non pensate a un “tengo famiglia” di duemilacinquecento anni fa: da quel poco che le fonti rimaste ci dicono, sembra proprio che nella scuola pitagorica anche le donne fossero considerate capaci di fare matematica.

domenica 9 ottobre 2011

Pitagora (terza parte) - la famiglia, Muia, Teano e il ruolo delle donne nella scuola



Abbiamo visto che quando arrivò a Crotone Pitagora riuscì a guadagnarsi velocemente sia la stima dei principali esponenti della città sia l'ammirazione di molti giovani crotonesi. Con il sostegno dei primi e la partecipazione dei secondi egli fondò la sua scuola.
Autorità cittadine e giovani allievi non furono tuttavia gli unici a subire il fascino di Pitagora. Teano figlia di Pitonatte fu anch'essa fatalmente attratta dal Chiomato di Samo. E dopo qualche tempo lo sposo. La prima figlia, Muia, nacque un anno dopo. In seguito Pitagora e Teano ebbero un figlio maschio a cui, secondo Giamblico, vollero dare il nome del nonno paterno: Mnesarco. L'ultimo figlio, secondo Porfirio, fu Arignota.
Muia mostrò immediatamente una particolare predisposizione per la musica e per la matematica: due discipline di fondamentale importanza per i pitagorici. La abilità vocali fecero sì che la piccola Muia assumesse la guida del coro delle fanciulle di Crotone; e dopo le sue nozze con Milone ella passò alla guida del coro delle adulte. Muia, insieme a sua madre Teano, viene anche citata nell'elenco, forse tramandato da Aristossenodelle diciassette "illustrissime donne pitagoriche".

Ma quindi nella scuola pitagorica erano ammesse anche le donne? Come fu possibile in una società che escludeva totalmente la donna dalla vita pubblica relegandola ad una sorta di reclusione casalinga totalmente subordinata? Forse lo si deve ad una perfetta alchimia che si dovette instaurare tra le idee innovatrici di Pitagora e le doti intellettive e la voglia di emancipazione di sua moglie e di sua figlia.
Diogene Laerzio afferma che ai suoi tempi, III sec. d.C., (circa otto secoli dopo Pitagora) si trovavano ancora delle copie di libri scritti da Teano. Anche se si trattava probabilmente di apocrifi, il fatto lascia comunque affiorare quanto valore il mondo antico attribuisse al contributo di Teano alla scuola pitagorica. Soprattutto se si considera il fatto che, a quanto sappiamo, Pitagora non lasciò alcuno scritto.

Ma chi era invece questo Milone? L'uomo che riuscì a far innamorare una ragazza della statura di Muia? Be', Milone era un vero e proprio eroe. Su di lui circolavano decine di aneddoti leggendari che esaltavano le sue doti atletiche. Già da bambino Milone si mostrò dotato di una forza straordinaria. Si narra che da ragazzo si allenasse sollevando un vitello sulle spalle. Ben presto a Crotone si diffuse la voce che egli fosse il figlio di Eracle. Quell'Eracle che aveva pregato gli dei di far sorgere una florida città intorno al sepolcro del suo amico Crotone. E fu proprio dall'amico di Eracle che la città prese il nome.
Nel 540 a.C., a soli tredici anni, Milone vinse i giochi olimpici della sessantesima Olimpiade come lottatore nella categoria fanciulli; e tra il 532 e il 512 a.C. egli collezionò ben sei vittorie olimpiche consecutive. Quando intorno al 532 a.C. Pitagora fondò la scuola, Milone, allora poco più che ventenne, fu tra i primi ad essere ammessi. Negli anni successivi la gloria e la ricchezza di Milone crebbero enormemente. E vista la pratica di comunione dei beni materiali che vigeva tra i pitagorici si può facilmente immaginare che il ricco Milone contribuì non poco all'affermazione e al successo della scuola.

Nella prossima puntata parleremo del ruolo fondamentale che nella scuola pitagorica si attribuì al numero per l'interpretazione dell’universo.

... continua ...

Se poi qualcuno volesse leggere un episodio della vita di Muia quindicenne tratto da un frammento del libro che il giovane pitagorico Fulivao scrisse basandosi sulle memorie narrategli dal maestro pochi giorni prima della sua dipartita verso i Campi Elisi, non ha che da cliccare su Muia.


Indice della serie

Pitagora (seconda parte) - Crotone e la scuola: matematici ed acusmatici


Abbiamo visto che Pitagora viaggiò molto: Siria, Fenicia, Babilonia, Asia Minore (Mileto), Egitto e forse addirittura India; e abbiamo anche citato che a Mileto Pitagora conobbe Talete. Ma Mileto era anche la città di Anassimandro: probabile allievo di Talete. Secondo Giamblico Pitagora conobbe anche lui. E il Chiomato di Samo dovette sicuramente rimanere affascinato dal concetto d'illimitatezza introdotto da Anassimandro e dai suoi tentativi di usare l'aritmetica e la geometria per disegnare una delle prime carte del mondo.  
Complessivamente, questa fase della vita di Pitagora, caratterizzata dai viaggi e dall'apprendimento, durò più di venti anni. In questo periodo il filosofo assimilò la maggior parte delle conoscenze matematiche e filosofiche del mondo a lui noto e probabilmente imparò le più importanti lingue del tempo.
Con questo bagaglio culturale Pitagora, allora quarantenne, tornò a Samo e lì tentò di fondare una scuola; ma il suo tentativo ebbe scarso successo. Riuscì infatti a coinvolgere un solo allievo. Che era anche un suo omonimo: Pitagora figlio di Eratocle. Ma per convincerlo a seguire le sue lezioni il maestro dovette addirittura pagare il giovane. Almeno inizialmente. Perché poi il giovin Pitagora di Eratocle si appassionò a tal punto agli insegnamenti del maestro che decise di abbandonare tutto per seguire il suo omonimoche, visti gli insuccessi in patria e probabilmente influenzato anche dalla recente presa del potere a Samo da parte del tiranno Policrate, aveva nel frattempo deciso di spostarsi a Crotone in Calabria, allora parte della Magna Grecia.

Quando Pitagora arrivò a Crotone (intorno al 535 a.C.) i principali esponenti della città entrarono immediatamente in rapporto di amicizia con lui. Con la sua eloquenza il filosofo riuscì a guadagnarsi velocemente anche la stima di molti giovani crotonesi coinvolgendoli come suoi seguaci. Con i discepoli più fedeli Pitagora fondò quindi la sua scuola, che oltre ai caratteri didattici assunse presto anche quelli di una confraternita, di una sorta di comunità scientifica ante litteram, nonché quelli di una setta mistico-religiosa.
La tradizione riferisce che gli adepti praticassero la comunione dei beni materiali. Inoltre tutte le attività e gli insegnamenti che occorrevano all’interno della scuola erano mantenuti strettamente segreti. Sembra addirittura che gli aspiranti adepti dovessero superare un lungo periodo di verifica durante il quale venivano messi alla prova sia i loro aspetti caratteriali, che le loro capacità mentali, ma non ultima anche la capacità nel mantenere i segreti.

Ma sentiamo direttamente dalle parole di Giamblico come funzionavano le cose nella scuola di Pitagora.

Una volta che i giovani arrivavano da lui per frequentare la sua scuola Pitagora li sottoponeva a giudizio di merito: egli cercava di capire che tipo di rapporti essi intrattenessero con i loro genitori, poi osservava chi tra loro rideva senza motivo o taceva o parlava più del necessario. ... E chiunque avesse sottoposto a tale esame, [Pitagoralasciava che per tre anni fosse osservato dall'esterno per esaminare l'autenticità del desiderio di apprendere ed il disprezzo per gli onori. Dopo questo periodo venivano ammessi come "acusmatici". Potevano cioè ascoltare Pitagora solo da fuori della tenda senza mai vederlo, dovendo per molto tempo dare prova del loro carattere. Veniva inoltre loro imposto un silenzio di cinque anni. Durante questi cinque anni i beni degli allievi venivano messi un comune. Se dopo questo periodo di cinque anni costoro apparivano degni di partecipare alle dottrine diventavano per il resto del tempo "matematici", e potevano ascoltare Pitagora all'interno della tenda, oltre che vederlo di persona. Se invece a questa prova venivano respinti, allora ricevevano il doppio dei loro beni, ma per essi veniva innalzata una tomba, come fossero morti, e quando i loro co-uditori li incontravano era come se incontrassero degli altri, perché essi dicevano che erano morti coloro che essi avevano cercato di modellare. Vi era infine anche la possibilità che rimanessero acusmatici per molti anni.

Quindi l’aspirante adepto poteva essere respinto, oppure accolto come akousmatikós (acusmatico - “ascoltatore”) o come mathematikós (matematico - “incline ad apprendere”). È facile immaginare che è proprio dal termine mathematikós che deriva l’attuale termine “matematica”.
I mathematikoi erano perciò i membri della setta che potevano apprendere la versione più dettagliata ed elaborata della conoscenza pitagorica con tanto di argomentazione e dimostrazione; mentre gli akousmatikoi potevano accedere solo a quelle lezioni in cui veniva presentato un numero ristretto delle conoscenze della scuola e in una forma più limitata e superficiale. Questo tipo di strutturazione rafforzava ovviamente il carattere settario della scuola.

La precedente citazione di Giamblico ci mostra anche come i pitagorici fossero molto duri con gli acusmatici che venivano respinti: li dichiaravano addirittura morti. Ma ancor più duri i pitagorici lo erano con gli allievi che infrangevano il giuramento di segretezza. Giamblico cita ad esempio questo ammonimento del pitagorico Liside nei confronti di un altro pitagorico: Ipparco.

Si racconta che tu, o Ipparco, insegni filosofia a chiunque incontri, anche pubblicamente, cosa che Pitagora ha proibito severamente. .... Se tu dovessi cambiare atteggiamento, io me ne rallegrerò, diversamente tu sei morto. Pietà vorrebbe che ci si ricordasse dei precetti di Pitagora, e non si condividessero i beni della sua sapienza con coloro che nemmeno in sogno si sono purificati nell'anima.

Sarà utile ricordare questo aspetto della scuola quando parleremo di uno dei pitagorici più famosi: Ippaso di Metaponto.

... continua ...

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