mercoledì 6 luglio 2022

L'interpretazione del pensiero parmenideo proposta da Giovanni Cerri - terza parte - Affinità rispetto a Hawking e alla teoria quantistica dei campi

Giovanni Cerri et al., Dall'universo-blocco all'atomo nella scuola di Elea: Parmenide, Zenone, Leucippo, a cura di Massimo Pulpito e Sofia Ranzato, Academia


Terza parte - Affinità rispetto a Hawking e alla teoria quantistica dei campi

Sempre sul paragone tra Parmenide e gli altri presocratici, il filologo classico, grecista e traduttore, Giovanni Cerri afferma che a un’attenta rilettura dei frammenti pertinenti “si deve concludere che Parmenide non si propone, come tutti gli altri filosofi della natura, di individuare il principio oggettivo della realtà ma vuole invece descrivere il meccanismo attraverso cui la mente umana, partendo da impressioni puramente sensoriali, ha elaborato una prima fallace distinzione, dalla quale sono discese tutte le altre e sulla quale si è costruito il complesso sistema di nozioni che, contrassegnate ciascuna da una parola, coincidono col patrimonio linguistico”.

Sulla temporalità dell’Ente Cerri afferma che “la sesta tra le categorie ontologiche elencate da Parmenide è quella per cui l’Ente è eternamente perfetto: ‘incompiuto mai non fu né sarà, perché è tutto insieme adesso’. Se fosse nel tempo, avrebbe una storia, in ogni momento della quale sarebbe ‘incompiuto’ rispetto al momento successivo. E questo non è pensabile. Supera dunque tutti i tempi finiti, e in questo senso è temporalmente infinito; ma non si stende per tutti gli infiniti tempi finiti, bensì è presente immoto, senza passato né futuro, e in quest’altro senso è temporalmente finito. Dunque l’ente è temporalmente insieme infinito e finito; meglio, è atemporale. … l’eternità atemporale è paragonabile ad un attimo fuggente sottratto alla catena passato-presente-futuro. Per lo stesso problema, i fisici del Novecento adducono anche il paragone con una pellicola cinematografica srotolata e tutta compresente allo sguardo di un osservatore“.

Sulla spazialità dell’Ente: “L’analogia con lo spazio geometrico ci porterebbe a dire che l’ente è spazialmente infinito. Ma qui non si tratta di spazio geometrico, ma di spazio reale e cosmologico. Se fosse infinito spazialmente, l’ente sarebbe incapace dell’equilibrio statico che lo contraddistingue: aperto all’infinito in tutte le direzioni, sarebbe dappertutto imperfetto nello spazio, come lo sarebbe nel tempo, se la sua eternità fosse durata infinita. Certo non c’è punto dello spazio reale, apparentemente infinito, che non sia ricompreso nell’ente; ma lo spazio reale non può essere realmente infinito. Anche dal punto di vista dello spazio, come dal punto di vista del tempo, Parmenide ricorre ad un paragone, per dare l’idea di uno spazio insieme infinito e finito, di un finito illimitato: è il paragone con la superficie curva di una sfera ben forgiata da un artigiano.
Il paragone è certo di ordine geometrico, ma la sfera in questione non è la sfera geometrica, ma una sfera artigianale, realizzata alla perfezione, in pietra, in terracotta o in bronzo. C’è però un possibile equivoco da evitare: Parmenide non dice affatto che l’Ente totale abbia forma sferica; la superficie sferica viene evocata soltanto come termine di paragone per la finitezza illimitata, l’equilibrio perfetto, e l’isonomia assoluta che lo connotano”.

Nella sua interpretazione Cerri evidenzia più volte dei paralleli tra il pensiero di Parmenide e la fisica moderna. In un capitolo intitolato al parmenidismo inconsapevole di Hawking trascrive alcune riflessioni teoriche del grande fisico britannico per mostrare come queste “sembrino quasi una parafrasi di Parmenide, e come la fisica contemporanea possa giungere a proiezioni epistemologico-cosmologiche del tutto affini a quelle dell'eleatismo, sulla base di identificazioni scientifiche, quali spazio=tempo, materia=energia, infinito=finito. Identificazioni non meno conturbanti per la nostra sensibilità comune di quanto lo furono per la sensibilità corrente dei Greci del VI-V secolo a.C. le identificazioni proposte dalla scienza ionica. Purtroppo, grazie al travisamento del pensiero di Parmenide operato dagli storici della filosofia e della letteratura, accade che spesso gli scienziati moderni non si rendano conto della coincidenza, continuità o semplice analogia che essa sia. Tra l’altro, il confronto contribuisce a chiarire che la dottrina di Parmenide è effettivamente un’ontologia cosmologica generale, postulata sulla base dell’indagine fisica, non un’elucubrazione puramente logico-dialettica o una metafisica filosofica, in senso post-aristotelico.

Cerri riporta anche alcuni considerazioni di un altro fisico-cosmologo del nostro tempo, Fritjof Capra, per cui alcuni aspetti della fisica moderna, quali l’apparenza dell’universo come un tutto unico e inseparabile, che comprende sempre l’osservatore in modo essenziale, e anche la perdita del significato di concetti tradizionali quali quelli di spazio tempo, quelli di oggetti isolati e quelli di causa ed effetto, avrebbero molte similitudini con le esperienze di alcuni mistici orientali; che elaborarono concetti come quello dell’Universo/Uno e quello della molteplicità come effetto del rapporto di esso con l’osservatore umano, la cui mente lo scompone illegittimamente in categorie soggettive. “Capra trova un termine di confronto col misticismo orientale che, certo, per via mistico-intuitiva ha elaborato visioni analoghe; ma non pensa a Parmenide, che giunse alle stesse conclusioni per via scientifica, come i fisici del Novecento. Non lo conosce o, meglio, lo conosce attraverso le parafrasi moderne, che non dicono nulla in proposito”. Capra afferma anche che “‘la fisica moderna ha confermato nel modo più drammatico una delle idee fondamentali del misticismo orientale: tutti i concetti che usiamo per descrivere la natura sono limitati: non sono aspetti della realtà, come tendiamo a credere, ma creazioni della mente; sono parti della mappa, non del territorio’. Di nuovo il misticismo orientale! Non c’è nulla di male. Ma perché nulla su Parmenide, vero patriarca e archegeta della cosmologia fisica attuale?

Nello stesso capitolo Cerri elabora anche un parallelo tra concetti della moderna teoria quantistica dei campi e i concetti parmenidei di Essere tutto pieno e di inesistenza del Vuoto-Non Essere: “La teoria dei campi della fisica moderna ci costringe ad abbandonare la classica distinzione tra particelle materiali e vuoto. La teoria del campo gravitazionale di Einstein e la teoria dei campi mostrano entrambe che le particelle non possono essere separate dallo spazio che le circonda. Da una parte, esse determinano la struttura di questo spazio, mentre dall’altra non possono venire considerate come entità isolate, ma devono essere viste come condensazioni di un campo continuo che è presente in tutto lo spazio. Nella teoria dei campi, il campo è visto come la base di tutte le particelle e delle loro interazioni reciproche. Il ‘vuoto fisico’ – come è chiamato nella teoria dei campi – non è uno stato di semplice non-essere, ma contiene la potenzialità di tutte le forme del mondo delle particelle. Queste forme, a loro volta, non sono entità fisiche indipendenti, ma soltanto manifestazioni transitorie del vuoto soggiacente ad esse. Dunque, la fisica moderna esclude il vuoto, perché quello che sembra vuoto è in realtà ‘campo magnetico’ o ‘campo gravitazionale’, non disomogeneo rispetto alla materia, anzi ad essa equipollente e con essa convertibile secondo parametri di equivalenza. È giunta a questa conclusione per via sperimentale, attraverso il bombardamento meccanico degli atomi e delle particelle sub-atomiche. Parmenide era giunto all’esclusione del vuoto-Non Essere venticinque secoli prima, non per via di intuizione mistica, ma per via teoretica, tenendo fermi i due principi elementari che ‘nulla nasce dal nulla’ e che ‘l’effetto non può non essere identico alla causa’. Non aveva idea delle ‘stringhe magnetiche equipollenti alle particelle subatomiche’, ma si inchinava all’idea razionalissima che la Natura non ammette salti miracolosi.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Vedo che lei continua nel voler parlare di filosofia senza,però, avere la volontà di studiarla. Io non posso che sottolineare gli errori più clamorosi ed evitare, così, che lettori in buona fede possano farsi una idea sbagliata sull'argomento.
Lei riporta questo passo: "Tra l’altro, il confronto contribuisce a chiarire che la dottrina di Parmenide è effettivamente un’ontologia cosmologica generale, postulata sulla base dell’indagine fisica, non un’elucubrazione puramente logico-dialettica o una metafisica filosofica, in senso post-aristotelico”. La fisica di Aristotele (così come la scienza moderna) non è scienza del Tutto. Nei primi pensatori greci (tra cui Parmenide) la cura della verità è un rivolgersi al tutto e,pertanto, non si può accettare la tesi di Aristotele per cui la filosofia al suo inizio è un fisica perché questi pensatori si rivolgono al Tutto andando oltre quella dimensione particolare del tutto che è la realtà diveniente. Ecco perché Hegel (filosofo vero) sottolinea il carattere metafisico dei naturalisti. La invito, infine, a considerare che la filosofia è un qualcosa di nuovo che usa necessariamente parole vecchie: Physis ad esempio è costruita sulla radice indoeuropea bhu,che significa essere,e la radice bhu è strettamente collegata alla radice bha che vuol dire luce. Ecco il compito dei filosofi: liberare il tutto dal Mito,lasciando apparire tutto ciò che è capace di rendersi manifesto e che pertanto si impone, ossia è verità incontrovertibile: physis. Quando lei parla di cosmologia, ignora che kosmos ha come radice kens che in latino si traduce come censeo ossia annunzio con autorità. E cosa si annunzia con autorità? Il tutto che nel suo apparire è verità innegabile e indubitabile. La scienza moderna (quando non diventa, come già scritto, scientismo) procede dall'assunto metodico di isolare nel suo contesto quella parte della realtà che essa intende studiare e controllare,non avendo più a che fare col Tutto.
Se lei utilizza termini come logos,caos,kosmos,physis,fisica,metafisica ecc senza,però, saperli tradurre e senza rendersi conto del fatto che ogni disciplina ha un proprio linguaggio che va compreso e studiato, gli errori sono inevitabili.
Pertanto, se è interessato all'argomento le consiglio di leggere Reale,Antiseri, Severino ecc. Io credo che il reale sia molto complesso ,talmente complesso da far pensare a un (ma è solo presunto!) ingarbugliamento oggettivo che,pertanto, deresponsabilizza tutti coloro che,vedendo queste difficoltà, pensano di poter fare filosofia senza preoccuparsi di mantenere un filo logico che sia coerente con la storia della filosofia.
Se lei è veramente appassionato della materia (cosa che le fa onore),deve iniziare a studiare seriamente i classici. In caso contrario, mi duole dirlo,sta sprecando il suo tempo perché, di fatto, sta facendo ,nel nome della filosofia, tutto quello che filosofia non è.
E si fidi che,se studiata dai classici, la filosofia è molto utile per vivere bene.
Un caro saluto

Anonimo ha detto...

Sarebbe interessante che il fumoso interlocutore del commento precedente, perlomeno, firmasse il proprio scritto e chiarisse a chi si stia rivolgendo e a quale titolo.
Tanto veleno per nulla.
Penoso.
Fanny Cerri

dioniso ha detto...

Mah… mi pare che a volte forse il veleno verso il prossimo sia generato da rancori e insoddisfazioni personali. Alcuni si sforzano per trasformarle. Altri le esprimono così.