Abbiamo visto che la tradizione occidentale concorda nel ritenere Talete di Mileto (620-550 a.C. ca.) e Pitagora di Samo (580-500 a.C. ca.) i pionieri, in ambiti un po’ diversi, dell’impostazione logico-deduttiva che diventerà la caratteristica essenziale della Matematica. Nell'ultima puntata abbiamo parlato brevemente anche di Talete.
La figura di Pitagora non è meno confusa e controversa di quella di Talete, ed è inoltre ancora più intrisa di elementi mitici e leggendari. Tuttavia il personaggio è sicuramente tra i più affascinanti e i più citati della storia della matematica e la sua impostazione è per molti versi ancora alla base del nostro pensiero moderno.
Bertrand Russell ad esempio affermò che "Pitagora è uno degli uomini più notevoli che siano mai esistiti" e che "la matematica, intendendo come tale le dimostrazioni e i ragionamenti deduttivi, inizia con lui".
Da quello che sappiamo Pitagora e i suoi discepoli non lasciarono scritti. O almeno nessuno testo di prima mano è giunto a noi. I più antichi documenti scritti su Pitagora a noi pervenuti sono sei brevi frammenti di testo risalenti al secolo successivo alla sua morte e si trovano in testi di autori posteriori che videro gli originali. Ma, la maggior parte delle nozioni e delle leggende circa Pitagora e la sua scuola, giunte fino a noi, è dovuta a tre autori che operarono tra il III sec. e il IV sec. d.C. E cioè a circa sette secoli di distanza dai fatti.
Uno di essi è Giamblico di Calcide (245 - 325 d.C.) che fu allievo di Porfirio: il secondo dei suddetti biografi di Pitagora. Il terzo e più vecchio di tutti è infine Diogene Laerzio, che operò nella prima metà del III sec. d.C.
Secondo Giamblico1, Pitagora nacque in una ricca famiglia di mercanti sami. E per la precisione durante un lungo viaggio d'affari che il padre Mnesarco, incisore di gemme, e la madre Partenide avevano intrapreso. La nascita del bimbo fu preannunciata all'inizio del viaggio, quando Mnesarco si recò a Delfi, dall'oracolo di Apollo Pythio (Pizio): la sacerdotessa Pythia (Pizia). In onore di tale profezia Mnesarco volle cambiare il nome di sua moglie in Pythais (Pitai) e chiamare il figlio Pythagoras. Pitagora nacque qualche mese dopo, quando la coppia ebbe raggiunto Sidone in Fenicia.
Presto la famiglia tornò a Samo e Pitagora crebbe nella vivace città portuale. Samo si trovava al crocevia delle grandi rotte mercantili che
collegavano il mar Nero con l'Egitto, e l'Italia e la Grecia con l'Oriente. E proprio nel periodo in cui nacque Pitagora i sami stavano fondando delle colonie, tra le quali anche una nella città siciliana di Minoa. Pitagora crebbe quindi in un ambiente ricco di stimoli e in continuo contatto con genti, oggetti e tesori provenienti da ogni parte del mondo conosciuto.
Insieme alla tradizione familiare, dovette essere anche la curiosità suscitata da quei contatti a spingere il giovane Pitagora a cominciare presto la sua serie di viaggi. Prima per accompagnare suo padre per affari. E in seguito indipendentemente per puro amore della conoscenza. Divenne noto con il soprannome de "il Chiomato di Samo". Si narra che nei suoi viaggi possa essersi spinto addirittura fino all'India. E considerando la contemporaneità di Pitagora con Buddha e Confucio, si può ragionevolmente ipotizzare che, oltre all’acquisizione di informazioni sull’Astronomia e sulla Matematica, il filosofo possa aver fatto proprie anche alcune idee religiose. Forse non a caso, tra le credenze della dottrina religiosa pitagorica si può citare la metempsicosi, cioè la rinascita dell'anima di un individuo in un altro corpo fisico anche non umano. Una delle conseguenze di tale credenza fu il divieto di consumare carne. Un po’ più oscure risultano invece le ragioni dell’altro divieto alimentare: quello sul consumo di fave. C’è chi ritiene possa essere collegato alla somiglianza delle fave con i genitali maschili e come tali fossero ritenute fonte di impurità; chi ritiene invece possa essere correlato al favismo; mentre l’ultima ipotesi fa riferimento a credenze antiche secondo cui le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell'impurità.
Oltre all'incerto viaggio in India, si riporta, con maggiore certezza, che Pitagora visitò la Siria, la Fenicia, l'Egitto e Babilonia.
Altra importante meta dei viaggi di Pitagora fu Mileto. Città che solo un piccolo stretto di mare divideva da Samo. Mileto era la città di Talete. E tra Talete e Pitagora c'erano circa quarant'anni di differenza. Fu intorno al 560 a.C., ai tempi della cinquantacinquesima Olimpiade, 216 anni dopo la prima Olimpiade, quando Talete aveva circa sessanta anni e Pitagora circa venti, che i due giganti della filosofia dovettero incontrarsi. E sembra che Talete abbia esortato Pitagora ad andare ad apprendere la geometria in Egitto. Tra le piramidi Pitagora dimorò per molti anni. E fu probabilmente lì oppure a Babilonia che egli dovette venire a contatto con il teorema che oggi porta il suo nome. Ma come!? - vi chiederete - il teorema di Pitagora era noto già da prima di Pitagora? Ebbene sì! Esistono documenti che precedono Pitagora di più di un millennio che testimoniano una conoscenza applicativa di quel teorema. Perché quindi in seguito si attribuì ad esso il nome di Pitagora?
Lo vedremo nelle prossime puntate ...
Indice della serie
1 Giamblico, Summa pitagorica, Bompiani 2006
La figura di Pitagora non è meno confusa e controversa di quella di Talete, ed è inoltre ancora più intrisa di elementi mitici e leggendari. Tuttavia il personaggio è sicuramente tra i più affascinanti e i più citati della storia della matematica e la sua impostazione è per molti versi ancora alla base del nostro pensiero moderno.
Bertrand Russell ad esempio affermò che "Pitagora è uno degli uomini più notevoli che siano mai esistiti" e che "la matematica, intendendo come tale le dimostrazioni e i ragionamenti deduttivi, inizia con lui".
Da quello che sappiamo Pitagora e i suoi discepoli non lasciarono scritti. O almeno nessuno testo di prima mano è giunto a noi. I più antichi documenti scritti su Pitagora a noi pervenuti sono sei brevi frammenti di testo risalenti al secolo successivo alla sua morte e si trovano in testi di autori posteriori che videro gli originali. Ma, la maggior parte delle nozioni e delle leggende circa Pitagora e la sua scuola, giunte fino a noi, è dovuta a tre autori che operarono tra il III sec. e il IV sec. d.C. E cioè a circa sette secoli di distanza dai fatti.
Uno di essi è Giamblico di Calcide (245 - 325 d.C.) che fu allievo di Porfirio: il secondo dei suddetti biografi di Pitagora. Il terzo e più vecchio di tutti è infine Diogene Laerzio, che operò nella prima metà del III sec. d.C.
Secondo Giamblico1, Pitagora nacque in una ricca famiglia di mercanti sami. E per la precisione durante un lungo viaggio d'affari che il padre Mnesarco, incisore di gemme, e la madre Partenide avevano intrapreso. La nascita del bimbo fu preannunciata all'inizio del viaggio, quando Mnesarco si recò a Delfi, dall'oracolo di Apollo Pythio (Pizio): la sacerdotessa Pythia (Pizia). In onore di tale profezia Mnesarco volle cambiare il nome di sua moglie in Pythais (Pitai) e chiamare il figlio Pythagoras. Pitagora nacque qualche mese dopo, quando la coppia ebbe raggiunto Sidone in Fenicia.
Presto la famiglia tornò a Samo e Pitagora crebbe nella vivace città portuale. Samo si trovava al crocevia delle grandi rotte mercantili che
collegavano il mar Nero con l'Egitto, e l'Italia e la Grecia con l'Oriente. E proprio nel periodo in cui nacque Pitagora i sami stavano fondando delle colonie, tra le quali anche una nella città siciliana di Minoa. Pitagora crebbe quindi in un ambiente ricco di stimoli e in continuo contatto con genti, oggetti e tesori provenienti da ogni parte del mondo conosciuto.
Insieme alla tradizione familiare, dovette essere anche la curiosità suscitata da quei contatti a spingere il giovane Pitagora a cominciare presto la sua serie di viaggi. Prima per accompagnare suo padre per affari. E in seguito indipendentemente per puro amore della conoscenza. Divenne noto con il soprannome de "il Chiomato di Samo". Si narra che nei suoi viaggi possa essersi spinto addirittura fino all'India. E considerando la contemporaneità di Pitagora con Buddha e Confucio, si può ragionevolmente ipotizzare che, oltre all’acquisizione di informazioni sull’Astronomia e sulla Matematica, il filosofo possa aver fatto proprie anche alcune idee religiose. Forse non a caso, tra le credenze della dottrina religiosa pitagorica si può citare la metempsicosi, cioè la rinascita dell'anima di un individuo in un altro corpo fisico anche non umano. Una delle conseguenze di tale credenza fu il divieto di consumare carne. Un po’ più oscure risultano invece le ragioni dell’altro divieto alimentare: quello sul consumo di fave. C’è chi ritiene possa essere collegato alla somiglianza delle fave con i genitali maschili e come tali fossero ritenute fonte di impurità; chi ritiene invece possa essere correlato al favismo; mentre l’ultima ipotesi fa riferimento a credenze antiche secondo cui le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell'impurità.
Oltre all'incerto viaggio in India, si riporta, con maggiore certezza, che Pitagora visitò la Siria, la Fenicia, l'Egitto e Babilonia.
Lo vedremo nelle prossime puntate ...
Indice della serie
1 Giamblico, Summa pitagorica, Bompiani 2006
1 commento:
Riporto un commento lasciato su Buon compleanno, Pitagora!
Visti gli interessi che coltivo sul vecchio samio questo articolo è per me una vera e propria chicca.
Su Mnesarco, il padre di Pitagora, esistono ipotesi contrastanti. Tutte riportate da Kitty Ferguson nel suo bel libro "La Musica Di Pitagora".
Le ricerche bibliografiche della Ferguson sono basate principalmente sulle tre biografie più antiche a noi pervenute: quella di Giamblico, quella di Profirio e quella di Diogene Laerzio. Sembra che tutti e tre concordino nel sul fatto che la madre di Pitagora, Pitai, discendesse dai primi coloni di Samo. Per quanto riguarda Mnesarco invece, Giamblico afferma che anche lui discendeva dai primi coloni di Samo; mentre Porfirio, citando Neante, riporta due ipotesi: una che vuole Mnesarco nativo di Tiro e l’altra che lo vuole etrusco (tirreno); Diogene Laerzio infine, citando Aristosseno di Taranto, afferma che Mnesarco fosse tirreno. La Ferguson ipotizza che la confusione potrebbe essere nata dall’assonanza tra i nomi “Tiro” e “Tirreno”.
Ad ogni modo Porfirio e Diogene Laerzio concordano nel ritenere Mnesarco un samio naturalizzato.
L’ipotesi della nascita di Pitagora a Tiro è comunque molto accreditata. Per questo ho scelto di includerla nella mia serie su Pitagora .
Posta un commento