domenica 26 giugno 2022

L'interpretazione del pensiero parmenideo proposta da Giovanni Cerri - seconda parte - affinità e divergenze rispetto all'atomismo antico e moderno



Seconda parte
Il dibattito sulla natura dell’ente parmenideo si divide ancora oggi tra interpretazione corporeista e interpretazione idealista. A favore della prima, Cerri cita sia il primo naturalismo greco, sia, più specificamente, l’operazione compiuta dal successore di Parmenide: Zenone.

Infatti, afferma Cerri, se si pensa ai paradossi di Zenone, ci si accorge che essi non sono accomunabili agli altri paradossi proposti dalla filosofia greca. Il ‘paradosso del mentitore' e il ‘dilemma del coccodrillo', tanto per citare due celebri esempi, sono di tipo puramente logico-linguistico. Mentre i paradossi di Zenone riguardano la grandezza, il numero e lo spostamento dei corpi nello spazio. Sono quindi rivolti alla fisica e alla cosmologia, piuttosto che alla dialettica. Cerri afferma inoltre che “i paradossi non costituiscono argomentazioni contro il movimento, ma ragionamenti contro il molteplice inteso come parcellizzazione spazio-temporale.

Nei quattro argomenti di Zenone, infatti, la divisione dello spazio e del tempo ad infinitum implica la negazione del moto, affermazione che appare invece assurda almeno a livello fenomenico”. Lo studioso fornisce quindi una riformulazione dei ragionamenti di Zenone sul moto secondo la sua interpretazione:

La dicotomia dello spazio - se le divisioni dello spazio che ci sembrano oggettive lo fossero veramente e avessero consistenza reale, un corridore al blocco di partenza, ricevuto il segnale, non potrebbe nemmeno muovere il primo passo e resterebbe con una delle due gambe sospesa in aria: infatti, prima di compiere il primo passo, dovrebbe fare mezzo passo; ma prima del mezzo passo, dovrebbe fare un quarto di passo; e così via all’infinito. Siccome invece la dicotomia dello spazio è immaginaria, non reale, e lo spazio è un continuo indiviso, il corridore può compiere tranquillamente il primo passo e tutti successivi, sotto gli occhi degli spettatori, che lo vedono correre effettivamente”.

Tra gli argomenti adottati da Zeller a favore della corporeità dell’ente parmenideo vi era anche la testimonianza degli immediati successori di Parmenide, tra cui Zeller e Burnet, includono gli atomisti, e, in particolare, Leucippo e Democrito. Questi ultimi, infatti, “con evidente riferimento alla dottrina parmenidea, identificano l'essere con il corpo e il non-essere con lo spazio vuoto …a differenza della fisica moderna che considera il vuoto diverso dal nulla. … Proprio il probabile iniziatore della corrente degli atomisti, Leucippo, pare possa essere indicato come punto di congiunzione con gli Eleati, giacché le fonti lo presentano come allievo di Zenone”.
Cerri tenta, infatti, di dimostrare che “il legame tra eleatismo e atomismo affonda le sue radici in un rapporto personale di Leucippo con la scuola eleatica. Molte fonti, infatti, collegano questo pensatore alla città di Elea e confermano l'idea di una successione filosofica che arriva fino a Democrito”. E sostiene che “mentre la dottrina atomista si pone a fondamento della fisica moderna e dei suoi sviluppi fino al primo quarto del Novecento, il pensiero parmenideo sembra anticipare le scoperte della fisica subatomica e dell'astrofisica contemporanee”.
Secondo Cerri, inoltre, “L'aporia di Parmenide consiste nel considerare i fenomeni percepiti dai sensi come un frutto gratuito dell'immaginazione umana ma, allo stesso tempo, nel considerarli scientificamente validi nella progressiva reductio ad unum. Ed è proprio per affermare la realtà oggettiva dei fenomeni e risolvere questa aporia eleatica, che Leucippo formulerà la sua teoria atomistica… nel sostenere che gli atomi sono principi intellegibili con caratteri necessari, ma, ammettendo l'esistenza del ‘non essere', assolutamente negata da Parmenide e dai suoi seguaci“.

È molto interessante anche l’interpretazione che Cerri esprime rispondendo a Massimo Pulpito: “sia per Parmenide, che per Zenone, la realtà dell'Essere immutabile, continuo ed omogeneo non può essere segmentata né in una pluralità spaziale che distingue un ‘qui‘ e un ‘lì', né in una temporale che ammette un ‘prima', un ‘adesso' e un ‘dopo'. Tali distinzioni sono ammissibili solo in una prospettiva soggettiva e, pertanto, opinabile, confinata alla dimensione della doxa. In questa prospettiva, la raffinata astronomia matematizzata di Parmenide si colloca all'interno di un sapere doxastico-scientifico, evoluto in direzione del più verosimile, ma non ancora in grado di attingere la verità ultima. In sostanza, dunque, per Cerri i paradossi zenoniani comunemente intesi come finalizzati a dimostrare l'impossibilità del moto intendevano in realtà dimostrare l'impossibilità della molteplicità”.
Relativamente all’astronomia matematizzata di Parmenide, Cerri afferma: “Se teniamo conto di tutte le notizie in nostro possesso su certi contenuti del poema di Parmenide, non possiamo mettere in dubbio che vi fosse esposta una mappa celeste estremamente avanzata per i suoi tempi, certo a prescindere dall’impostazione geocentrica, non eliocentrica… All’interno di questo sistema, spiccano tre scoperte recenti per cui … non siamo in grado di determinare se siano state fatte da Parmenide stesso o pochi decenni prima da Pitagora e dalla sua scuola: 
1) la Terra ha forma sferica, non piatta, come si era creduto fino ad allora; 
2) la Luna, quando splende è illuminata dal Sole, e le sue fasi risultano spiegabili pienamente col mutare della posizione reciproca di Sole-Terra-Luna nello spazio;
3) Espero e Lucifero non sono due astri, ma un solo e stesso astro, che merita un nome unico e nuovo, Afrodite.
Tutte queste tesi presuppongono una ricerca scientifica lunga e laboriosa, nella quale possiamo distinguere due componenti. Una di rilevazione sperimentale: deve essere stato necessario redigere una descrizione diaristica, prolungata per anni, della mappa celeste, ora per ora e giorno per giorno, per quanto riguarda il Sole, notte per notte, per quanto riguarda gli altri astri. E una componente matematico-geometrica: ipotesi geometriche verificate e corrette costantemente attraverso il calcolo matematico. … In particolare due delle scoperte sopra menzionate avevano esito in enunciati direttamente imperniati sulla copula ἐστί: la luce della Luna «è» la luce del Sole; Espero «è» Lucifero … una dichiarazione di eguaglianza, che noi siamo soliti rappresentare col segno di ‘eguale’ (=) … Parallelamente, il «non è» rinvia alla diseguaglianza implicita nell’accettazione di una cosa come irriducibilmente diversa dalle altre. Certo anche lo scienziato è ben lontano dall’aver superato tutte le diversità in identità superiori, ma sa che ciò è dovuto alla parzialità delle sue conoscenze e che lo sviluppo futuro della ricerca porterà a sempre nuove identificazioni: quindi punta senza posa all’identificazione, all’enunciato imperniato sull’«è». Chi invece si ferma al «non è», ritenendo anzi di progredire sulla via della conoscenza registrando le diversità, si rassegna senza saperlo, a non capire nulla della realtà che lo circonda; spinto da una curiosità vana, continuerà a registrare e memorizzare dati che non sarà mai in grado di elaborare”.

Per fugare possibili dubbi Cerri chiarisce anche che la sua interpretazione non implica che Parmenide prevedesse che la scienza del futuro avrebbe dimostrato l’identità di sole e luna. Cerri si dice invece certo che Parmenide prevedesse un’evoluzione della scienza futura verso un modello in cui “tutti i fenomeni, e quindi anche sole e luna, sono frutto di immaginazione artificiosa dell’uomo, e che la realtà è un tutt’uno continuo, indistinto e immutabile. Una posizione in certo senso analoga a quella di molti fisici contemporanei e alla loro attesa quasi messianica della cosiddetta ‘teoria M. Di una teoria che unifichi in sé le teorie, per ora diverse ed eterogenee, dell’attrazione magnetica, dell’attrazione infra-atomica e dell’attrazione gravitazionale. Di una teoria unica, in grado di spiegare tutte le cose e tutti i fenomeni con un’unica formula fisica. Il che è né più né meno che aspettarsi che la realtà, mentre nell’opinione comune degli uomini appare infinitamente varia e molteplice, sia in se stessa un fenomeno assolutamente unico, unitario, escludente qualsiasi altro fenomeno o sub-fenomeno non riducibile a se stesso”.
In un paragone tra Parmenide e gli altri presocratici Cerri asserisce che l’eleate “riteneva che solo l’Ente fosse vero e reale; e che gli enti fossero invece parvenze-opinioni, finzioni create dagli uomini… Ma queste stesse parvenze irreali, costituendo l’esperienza umana di partenza, potevano e dovevano divenire strumento attraverso cui l’intelletto scientifico fosse in grado di ricostruire, passo dopo passo, l’unità del tutto. Le unificazioni scientifiche parziali e provvisorie, matematiche, geometriche, astronomiche, ecc., erano la via necessaria per giungere all’unificazione totale e ultimativa. Perciò Parmenide non può fare a meno di esporle meticolosamente nella seconda parte del poema, che gli antichi presero a intitolare convenzionalmente Doxa, in opposizione alla prima parte, da loro intitolata Aletheia. … La scienza si muove ancora, e continuerà per lungo tempo a muoversi tra gli enti-parvenze-opinioni umane. Le supera a poco a poco in enti-parvenze-opinioni sempre più raffinate, perché più astratte, e perciò più unificanti delle precedenti, dunque sempre più verosimili e sempre meno false. Nel corso stesso di questo lungo cammino, ad un certo punto intuisce la verità-realtà dell’Ente totale e unitario”.

lunedì 6 giugno 2022

Alessandro Barbero: la storia come caos di cose che si sovrappongono e si contraddicono

Riporto un'interessantissima considerazione di Alessandro Barbero sulla ricerca compulsiva delle cause degli eventi storici.

Barbero conclude affermando:
"La storia è esattamente come le nostre vite: un caos di cose che si sovrappongono, che si contraddicono, di casualità, di azioni altrui. Metterci ordine significa capire, ma significa anche falsificarle un pochino."

"Io, da storico, comincio ad averne abbastanza di questa nostra compulsione a cercare le cause delle cose. Perché tu ricostruisci degli avvenimenti ed è già tanto se riesci a capire come si sono svolti, che cosa è successo. E poi le persone vogliono sapere: perché? E i perché sono difficili da ricostruire e sono sempre provvisori. Ad esempio, nella discussione sulle cause della guerra civile americana si è detto che le cause fossero da ricercare nel fatto che si voleva abolire la schiavitù. Poi per trent’anni si è detto: no non è vero niente; sono gli Stati del sud che hanno un’economia in conflitto con quelli del Nord. Poi si torna a dire: no abbiamo capito che era davvero la schiavitù il problema.
Tutto questo è interessante perché è un esercizio continuo di scavo, di approfondimento e di argomentazione. Ma sono sempre operazioni un po’ artificiali perché mettono ordine nella realtà quando la realtà ordinata non è. La storia è esattamente come le nostre vite: un caos di cose che si sovrappongono, che si contraddicono, di casualità, di azioni altrui. Metterci ordine significa capire, ma significa anche falsificarle un pochino.
...
Quando un evento storico è accaduto, proprio per questa nostra compulsione di trovare le cause, ci precipitiamo alla ricerca dei segni premonitori e, regolarmente, li troviamo.
Io stesso ho scritto che la catastrofe di Adrianopoli è legata alla corruzione del sistema romano nel IV secolo. Ma il sistema romano di 300 anni prima era altrettanto corrotto e non è collassato per niente. Anzi ha conquistato il mondo. Quindi io sarei sempre prudente."

giovedì 2 giugno 2022

L'interpretazione del pensiero parmenideo proposta da Giovanni Cerri - prima parte


Ho trovato l’interpretazione del pensiero parmenideo proposta da Giovanni Cerri, filologo classico, grecista e traduttore, molto convincente nella sua ampia prospettiva che, oltre all'aspetto filosofico, include anche considerazioni scientifiche in senso moderno. Ho quindi deciso di scegliere la sua interpretazione come guida quando mi sono trovato a scrivere le parti del mio nuovo (e ancora inedito) libro che citano il pensiero parmenideo.

Quarta di copertina rielaborata
Cerri critica l’interpretazione, di marca prevalentemente hegeliana e un tempo dominante, che voleva Parmenide "teorico di un essere disincarnato e inaccessibile attraverso l’indagine scientifica del mondo". Propone, in alternativa, "un Parmenide scienziato pienamente consapevole dei fondamenti epistemologici del sapere e capace di prefigurare, attraverso identificazioni progressive di entità apparentemente diverse, l’esito ultimo dell’evoluzione della scienza", cioè la scoperta dell’essere come un unico corpo omogeneo.

Parmenide sarebbe stato il primo ad analizzare l’osservazione dei fenomeni naturali attraverso procedimenti logico-mentali: “punto di partenza della riflessione parmenidea è una ricerca scientifica lunga e laboriosa fondata sulle due componenti della rilevazione sperimentale e del ragionamento matematico-geometrico”.
A conferma della sua interpretazione, Cerri analizza la seconda parte del poema di Parmenide, in cui l’eleate presenta teorie astronomiche, considerate provvisorie dal filosofo stesso, che dimostrerebbero il suo profondo interesse per la spiegazione dei fenomeni del mondo fisico.
 
Cerri mostra anche come le opere di altri due pensatori, formatisi nella scuola di Elea, supporterebbero la sua interpretazione: da una parte Zenone, con le sue argomentazioni contro la pluralità; dall'altro Leucippo, il primo atomista.
In conclusione Cerri risponde anche a dieci studiosi chiamati a discutere la sua interpretazione del pensiero della scuola eleate.

Considerazioni più dettagliate
Cerri pone subito l’accento su quella che a suo avviso è stata a lungo un’interpretazione sbagliata del pensiero di Parmenide. E cioè l’interpretazione hegeliana che attribuiva un valore gerarchico nettamente superiore alla prima parte del poema. Quella che tratta di Aletheia: la verità più profonda che può essere raggiunta solo seguendo il sentiero della ragione. In contrasto con la Doxa: quel livello di verità a cui si accede attraverso l’osservazione sensoriale.
La vulgata hegeliana a cui si accennava ha incoraggiato la visione gerarchica dei due poli in cui quello naturalistico (inconciliabile con l’essere disincarnato) viene a soccombere e a divenire un’appendice secondaria, giustificata come migliore discorso sulle false apparenze umane o al più come opinione dello stesso giovane Parmenide, una concessione ad una sorta di periodo pre-critico dell’Eleate. Così, anche là dove il discorso naturalistico veniva tenuto in considerazione, esso restava pur sempre confinato nella ‘seconda parte’, la cosiddetta Doxa.”

Successivamente altri studiosi, come lo storico della filosofia tedesco Eduard Zeller e il filologo classico e storico scozzese John Burnet, rigettano l’interpretazione puramente ideale dell’essere, perché sarebbe evidente che l’essere per Parmenide sia una realtà che occupa spazio. Burnet si spinge addirittura ad affermare: ‘Parmenides is not, as some have said, ‘the father of idealism’; on the contrary, all materialism depends upon his view of reality’.

Da citare anche la terza via cercata da Giovanni Reale. Lo storico della filosofia italiano nega che Parmenide possa essere considerato padre dell’idealismo o del materialismo, data l’indisponibilità ai suoi tempi delle categorie di materia e spirito.