sabato 9 giugno 2007

Autobiografia

Nel mio albero genealogico, ricostruito a memorie di nonni, bisogna
risalire alla settima generazione per trovare qualcuno che non fosse nato nel paese della Sabina dove sono nato anch'io: il nonno del nonno di mio nonno. Un tale Ubaldo, venuto da Scheggia, nelle Marche, nei primi anni del XIX secolo.
Fino alla generazione dei miei nonni tutti sono stati impegnati sempre nelle stesse attività; e cioè, lavorare la terra, pascolare il bestiame e allevare la prole.

A 4 anni ero un bambino tranquillo, affascinato dalle stelle. I miei capelli erano biondi e il mio cielo era quello azzurro di una giornata invernale di tramontana.

A 7 anni ero molto irrequieto, volevo fare l'astronauta, sognavo una casa con l'organo e il mio cielo era pieno di cirri.

A 12 anni ero prepotente, i miei capelli erano castani e ribelli e volevo fare l'ingegnere elettronico.

A 15 anni volevo fare il trombonista, vagheggiavo eroiche storie d'amore, i miei capelli erano rasati e il mio cielo cominciava ad incupirsi.

A 17 anni volevo fare il teologo o il compositore e vagavo tra alfabeto ebraico e semicrome. A 19 anni volevo fare l'astrofisico, i miei capelli erano da bravo ragazzo ed ero misogino.

A 20 anni mi trasferii a Roma, volevo fare il matematico, ero estremamente insicuro e il mio cielo era quello tenebroso di una giornata novembrina di libeccio.

A 24 anni volevo fare il cameriere a Londra, avevo la chioma leonina e il barbone da autonomo, cominciavo ad amare le donne e le esperienze psichedeliche e il mio cielo cominciava a schiarirsi.

A 25 anni volevo fare il logico-matematico e nel mio cielo spirava il grecale. A 26 lavoravo in azienda e i miei capelli erano più corti. A 27 facevo il dottorando e la chioma ricresceva. A 28, nauseato, tornavo in azienda.

A 29 anni conobbi l'amore e il mio cielo era quello stellato di fine agosto rinfrescato da una piacevole brezza di ponentino.

A 30 mi sono trasferito in Germania ed ero curioso e volenteroso. A 31 mi sono sposato con la mia cara Zucchero e il ponentino si tramutava in un soffio di maestrale in un cielo di settembre. A 35 il maestrale cresceva gonfiando il cielo di nubi e arruffando la mia chioma leonina.

A 36 anni un uragano portava via la mia chioma. A 37 l'arcobaleno si dispiegava sui miei pochi crini rimasti.

A 38 il mio cielo è quello di una giornata di temporali estivi e vorrei lavorare la terra, pascolare il bestiame e allevare la prole.

Ricongiungimenti

L'esperimento

U carrozzo'

Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo