lunedì 29 agosto 2022

I paradossi di Zenone sul movimento e il dualismo spazio-tempo – Umberto Bartocci

Umberto Bartocci, I paradossi di Zenone sul movimento e il dualismo spazio-tempo, Episteme, Physis e Sophia nel III millennio, Perugia, N. 8, 2004.

Umberto Bartocci è un matematico, studioso dei fondamenti della matematica e della fisica, noto anche per aver sostenuto tesi minoritarie, come, ad esempio, una critica all’approccio formalistico della matematica proponendo un ritorno a una "fondazione classica".

In questo articolo, pubblicato su Episteme, un giornale ideato e curato dallo stesso Bartocci, il matematico romano riporta sue ricerche e interpretazioni nell'ambito dei paradossi di Zenone e temi correlati. 
In estrema sintesi, Bartocci asserisce che i paradossi di Zenone non possano essere "risolti", ma se ne può solo “spiegare la radice”. E questa ha a che fare con le modalità di funzionamento della nostra mente “ogni volta che si cerchi di concepire esattamente qualsiasi forma di movimento”.
Ponendosi al di fuori della tradizionale interpretazione in cui il tempo, così come lo spazio, è una grandezza continua, Bartocci asserisce che spazio e tempo si intuiscono in modi inconciliabilmente differenti: il primo lo si percepisce densamente popolato da segmenti infinitamente divisibili, e il secondo lo si immagina costituito da intervalli non infinitamente suddivisibili.

Detto in altre parole, il modo in cui intuiamo lo spazio fisico nel quale ci muoviamo sarebbe molto simile al modello ideale dello spazio euclideo usato in geometria: uno spazio continuo costituito da punti infinitesimi e immateriali; mentre il tempo verrebbe percepito come un susseguirsi di attimi atomici ma non infinitesimali e quindi non infinitamente suddivisibili, cioè come un insieme discreto.

Per sottolineare chiaramente la distinzione tra spazio e tempo percepiti e spazio e tempo reali Bartocci fornisce anche una tabella che riassume la sua interpretazione.
Il movimento esiste nella realtà, e in quanto tale non implica alcuna contraddizione: esso è, semplicemente, come intendeva Diogene”, dice Bartocci.
Quindi la radice dei paradossi sarebbe solo nella nostra percezione della realtà e non nella realtà stessa. E, in particolare, nello scollamento tra nostra percezione intuitiva di spazio e di tempo da un lato e il modo in cui i paradossi vengono invece solitamente inquadrati da un punto di vista logico-razionale dall’altro.
L’errore sarebbe proprio nel nostro modo di rappresentare formalmente il tempo. Confondendo le sue caratteristiche con quelle dello spazio lo si tratta attraverso il concetto di "numero reale", che è valido, dice Bartocci, solo per esprimere le misure geometriche di segmenti ma non gli intervalli di tempo. 
Si scambia cioè la necessaria (per l'intuizione umana dello spazio) infinita suddivisibilità dei segmenti della retta spaziale R, con una corrispondente infinita suddivisibilità degli analoghi segmenti della retta temporale T, invece impossibile per l'intuizione umana”.

Alla domanda “come mai ci troviamo quasi d'accordo con Zenone, nel negare la "possibilità razionale" del movimento?" Bartocci risponde: “l'intelletto umano non può concepire l'infinita suddivisibilità di un segmento temporale, con la conseguenza che una somma infinita di siffatti segmenti non può essere per esso altro che divergente”.

Esprimendo il pensiero in termini più matematici Bartocci afferma che: “Accanto alla retta spaziale R, esiste - "nella nostra mente" - un'analoga retta temporale, indichiamola con il simbolo T. Si tratta di un insieme ordinato, meglio spazio ordinato, che rappresenta il tempo nell'intelletto, allo stesso modo che R vi rappresenta lo spazio, almeno nella sua manifestazione 1-dimensionale. Le due "rette" si "assomigliano" di fatto sotto diversi aspetti” … “La retta spaziale R è concepita però in maniera che tra un punto e l'altro ce ne sono sempre infiniti, sicché non c'è alcun modo di introdurre il successivo di un determinato punto. Al contrario, la retta temporale T appare formata da istanti "separati”, ogni istante ha un successivo e un precedente, tra un istante e un altro non si riesce a immaginarne infiniti. T è quello che si dice uno spazio ordinato discreto, mentre R è invece uno spazio ordinato continuo: insomma, R e T non sono strutture isomorfe. È lecito prendere in considerazione, sia in R che in T, delle serie, ossia delle somme infinite di segmenti, ed ecco che dalla fondamentale differenza strutturale tra le due "rette" procede la circostanza che deve ritenersi tanto l'origine dei paradossi, quanto la loro "soluzione": in R esistono delle serie di segmenti convergenti, in T ogni tale serie è necessariamente divergente.

Il semigruppo delle classi di equivalenza di segmenti associato a R, indichiamolo con S, non ha né minimo né massimo, quello associato a T, diciamolo Q, non ha massimo, ma ha un minimo, la classe d'equivalenza dei segmenti con due soli istanti ("il" segmento con due soli istanti). Q può ritenersi coincidere proprio con N = { 1,2,3,...} , l'insieme dei numeri che si dicono naturali.

In altre parole ancora, R e T sono strutture non isomorfe, né se le si riguarda come spazi ordinati, né come insiemi, cioè appare impossibile stabilire, per le caratteristiche proprie degli enti coinvolti, una corrispondenza biunivoca tra segmenti di spazio ideale percorso (elaborazioni della pura geometria della retta continua ideale), e associati segmenti di tempo. Ovvero, la nostra mente è costretta a concepire delle posizioni spaziali virtuali che non possono essere effettive, non possono essere di fatto occupate, non esistendo un istante in cui tale "occupazione" possa avere luogo. Una coppia ordinata del tipo posizione-istante, o spazio-tempo, è quello che si dice un evento, e potremo allora pure sintetizzare la nostra opinione asserendo che: non ogni posizione spaziale del tragitto di Achille corrisponde a un evento.

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