lunedì 10 aprile 2023

Considerazioni parmenidiane di Will Storr

E poi ditemi che Parmenide non aveva ragione. :-)

“Il nostro cervello non sta assolutamente sperimentando in modo diretto la realtà in cui siamo immersi. In realtà, è rinchiuso nel silenzio e nell’oscurità della vostra scatola cranica.» Questa ricostruzione allucinatoria della realtà viene talvolta definita come “modello” cerebrale del mondo. Ovviamente un simile modello dovrà essere in qualche misura accurato, altrimenti finiremmo per andare a sbattere contro i muri mentre camminiamo, o per ficcarci la forchetta nella giugulare quando mangiamo. E questa precisione la dobbiamo ai nostri sensi. I sensi ci appaiono come strumenti infallibili: i nostri occhi sono finestre tersissime attraverso cui osservare il mondo in ogni sua sfumatura di colore, in ogni suo minimo dettaglio; le orecchie sono canali in cui si riverseranno i suoni della vita. Ma le cose non stanno proprio così. La verità è che i sensi trasmettono al nostro cervello soltanto informazioni limitate, parziali. …
L’incarico che spetta a tutti i nostri sensi è raccogliere indizi dal mondo esterno sotto varie forme: onde luminose, mutamenti nella pressione dell’aria, segnali chimici. Tutte queste informazioni verranno poi tradotte in milioni di impulsi elettrici quasi impercettibili. Di fatto, il cervello legge questi impulsi elettrici proprio come un computer legge un codice, e li utilizza per costruire attivamente la nostra realtà, dandoci l’illusione che questa allucinazione controllata sia reale. Dopodiché, sfrutterà i sensi per compiere le verifiche del caso, e apportando in tutta fretta gli aggiustamenti necessari, se si accorge che qualcosa non torna.”
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“È proprio in virtù di questo processo che a volte ci capita di “vedere” cose che in realtà non ci sono. Immaginate che sia già buio e che laggiù, accanto al cancello, vi sia sembrato di vedere un tipo assurdo, mezzo rannicchiato, con un cilindro in testa e un bastone in mano, ma presto realizzate che si trattava solo di un ceppo d’albero ricoperto da un grumo di rovi. Dite alla persona che è con voi: “Ma sai che per un istante mi è sembrato di vedere un tipo assurdo, laggiù?” In realtà, quel tipo assurdo l’avete visto per davvero. Il vostro cervello pensava ci fosse, e così ce l’ha messo; poi, una volta che vi siete avvicinati, e ha avuto modo di ricevere nuove e più accurate informazioni, si è affrettato a riconfigurare la scena, a correggere la vostra allucinazione.”
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“Se i nostri sensi sono così limitati, come possiamo sapere con certezza che cosa accade realmente fuori dal buio e dal silenzio della nostra scatola cranica? Il vero guaio è che non possiamo. Come un vecchio televisore capace di leggere solo il segnale in bianco e nero, la nostra tecnologia biologica non è materialmente in grado di elaborare gran parte di quello che effettivamente accade nei vasti oceani di radiazioni elettromagnetiche in cui siamo immersi. Gli occhi umani riescono a leggere meno di un dello spettro luminoso. «L’evoluzione ci ha dotati di capacità percettive che ci consentono di sopravvivere» sostiene Donald Hoffman, uno scienziato cognitivo. «Ma questo prevede anche di occultarci tutto quello che non ci serve sapere. In pratica, l’intera realtà, qualunque cosa essa sia.»"
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“Sappiamo che la realtà vera è profondamente diversa da quel suo modello che sperimentiamo nella nostra testa. Per esempio, fuori dal nostro cervello non esiste alcun suono. Se un albero cade nella foresta, ma nei paraggi non c’è nessuno a sentirlo, il suo crollo indurrà solo dei mutamenti nella pressione dell’aria e qualche vibrazione nel terreno. Il suono dello schianto è un effetto che avviene nel cervello. Quando sbattiamo l’alluce contro uno spigolo e lo sentiamo pulsare forte per il dolore, anche quella è un’illusione. Il dolore non è nel nostro dito, ma solo nel nostro cervello. Là fuori non esistono nemmeno i colori. Gli atomi non hanno colore.”
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“L’unica cosa che potremo mai davvero conoscere sono gli impulsi elettrici inviati dai sensi. Il nostro cervello narratore utilizza tali impulsi per creare il variopinto scenario su cui andremo a interpretare la nostra vita. Poi lo completerà con un cast di attori, a loro volta dotati di obiettivi, personalità, e di un copione da seguire. Perfino il sonno non rappresenta un ostacolo per i processi narrativi del nostro cervello. I sogni ci sembrano reali perché si basano sugli stessi modelli neurali allucinatori in cui viviamo da svegli. Le cose che vediamo sono le stesse, gli odori sono gli stessi, perfino al tatto gli oggetti ci appaiono gli stessi. L’effetto surreale dei sogni dipende in parte dal fatto che i nostri sensi controllori sono temporaneamente spenti, e in parte perché il cervello deve interpretare le caotiche esplosioni di attività neurale dovute al nostro temporaneo stato di paralisi. Per spiegare questa confusione il nostro cervello reagirà come al solito: metterà insieme un modello di mondo e tirerà fuori dal cilindro una storia basata su causa-effetto. Spesso nei sogni precipitiamo da un edificio o inciampiamo per le scale, una storia che il nostro cervello si inventa per giustificare uno «spasmo mioclonico», ovvero una fastidiosa e improvvisa contrazione muscolare. “

2 commenti:

dioniso ha detto...

Marco Fulvio
Ma allora perché viviamo tutti la stessa allucinazione? In realtà sappiamo anche comunicarcela: non siamo solo periferiche di ingresso, abbiamo il linguaggio.

Dioniso Dionisi
In realtà, se ci pensi bene, tutte le nostre percezioni sono il risultato della conversione di fenomeni fisici in impulsi elettrici.
Che cos’è un suono? Ciò che esiste davvero sono mutamenti, più o meno periodici, della pressione dell’aria che ci circonda. Il nostro apparato acustico le trasforma in impulsi elettrici e il nostro cervello trasforma gli impulsi elettrici in ciò che chiamiamo suoni.
Un ragionamento analogo può essere ripetuto per i colori.

Dioniso Dionisi
Quindi è vero che l’unica cosa che potremo mai davvero conoscere sono gli impulsi elettrici inviati dai sensi.
Avevo sentito altre volte la storia dell’albero che cade nella foresta. Ma finora mi era apparso come un sofismo privo di concretezza. Oggi mi sono accorto che non è così.
L’osservazione che fuori dal nostro cervello non esiste alcun suono, è un’osservazione molto concreta. Ed è proprio così: “Se un albero cade nella foresta, ma nei paraggi non c’è nessun essere vivente a sentirlo, il suo crollo indurrà solo dei mutamenti nella pressione dell’aria e qualche vibrazione nel terreno. Il suono dello schianto è un effetto che avviene nel cervello.”

Dioniso Dionisi
Per venire alla tua domanda: “Ma allora perché viviamo tutti la stessa allucinazione? In realtà sappiamo anche comunicarcela”.
Sì, vero. Ce la comunichiamo. Penso che la ragione possa essere questa: “un simile modello dovrà essere in qualche misura accurato, altrimenti finiremmo per andare a sbattere contro i muri mentre camminiamo, o per ficcarci la forchetta nella giugulare quando mangiamo. E questa precisione la dobbiamo ai nostri sensi”.
Tuttavia, allo stesso tempo, siamo sicuri che ciò che io chiamo rosso sia la stessa cosa di ciò che tu chiami rosso? Credo che esistano diversi livelli di percezione dei colori e quindi diversi modelli allucinatori visivi (potenzialmente uno per ogni essere vivente).

Dioniso Dionisi
Cito un altro brano.
“Tutti i colori che “vediamo” derivano dall’azione combinata dei tre coni presenti nell’occhio umano: rosso, verde e blu. Alcuni uccelli di coni ne hanno sei; la canocchia, o cicala di mare, ne ha sedici; gli occhi delle api riescono a vedere la struttura elettromagnetica del cielo. Quei loro caleidoscopici paesaggi noi umani possiamo solo sognarceli.”
Analogamente, nell’ambito acustico. Pochi fortunati hanno l’orecchio assoluto. E sicuramente percepiscono la realtà acustica in modo diverso da chi non ce l’ha. Cioè vivono in modelli allucinatori acustici più ricchi.

dioniso ha detto...

Marco Fulvio
Credo che nessuno possa contestare che la realtà esterna ci arrivi tramite impulsi chimico-fisici. Ma ciò non cambia i termini della questione: siamo in grado di cogliere la sua essenza, la sua verità ontologica? Credo di no, tuttavia non abbiamo alternative a crearci delle sue rappresentazioni, imprecise, provvisorie, limitate. Altrimenti non potremmo ambire a nessuna forma di conoscenza. La mappa non è il territorio, ma aiuta.

Dioniso Dionisi
Certo. E poi nella vita quotidiana lo dimentichiamo e viviamo come se quella rappresentazione fosse la realtà. Però rifletterci ogni tanto e coglierne qualche tassello può regalare qualche momento di illuminazione. O almeno per me oggi è stato così.