giovedì 22 ottobre 2015

N-ternologi: il 2-ternologio completato

Una collega americana mi ha proposto la seguente 2-ternoformula per il 7 commentandola con "I've always been a fan of Pascal's Triangle". Le avrei voluto spiegare il discorso di Tartaglia ma poi ho desistito :-)
Ad ogni modo, questa formula soddisfa le regole che avevamo definito qui?
Ecco la regola: si vogliono rappresentare i numeri tra 1 e 12 utilizzando esattamente tre volte una sola cifra tra 1 e 9 (in questo caso specifico la cifra 2), e qualsiasi simbolo matematico come operatore o come simbolo di rappresentazione numerica.
Io direi di sì, voi che ne dite?
Ecco quindi una versione del 2-ternologio completo senza utilizzare la funzione parte intera.



mercoledì 14 ottobre 2015

Carnevale della Matematica #90 - Le menzogne della matematica

L'edizione di ottobre del Carnevale della Matematica è ospitata da peppeliberti. Il tema è "Le menzogne della matematica".
Io ho contribuito con due articoletti così introdotti:
Al tema, come al solito, s’accompagna un verso della Poesia gaussiana, questa volta il novantesimo, guarda caso, cullato dalle note della “Cellula Melodica” di Dioniso. Eccolo:
Cellula melodica #90“il merlo, il merlo canta tra i cespugli” — dalla Poesia gaussiana
Il felice protagonista dell’infinita poesia è un merlo e un Merlo è stato, nel mese di settembre, l’infelice protagonista dell’infinita cantilena contro i numeri, una cosa che qua vi risparmio ma che avevo già segnalato nel post di chiamata alle armi (ne han scritto anche Maurizio Codogno e Dioniso, qui equa). Non vale la pena perderci troppo tempo però, una lettura rapida, uno sghignazzo e tornate da me, ché vi racconto del 90.
Dioniso di Pitagora e dintorni, il già ricordato autore della cellula melodica, invia:
Verso la matematica moderna: Viète, Magini, Clavius e l’introduzione di nuovi simboli e concettiDioniso racconta di come, nell’ultimo quarto del XVI sec., l’Europa occidentale aveva recuperato la maggior parte delle opere matematiche dell’antichità che ci sono pervenute. L’algebra degli arabi era stata assimilata e sviluppata sia attraverso la soluzione generale delle equazioni di terzo grado sia attraverso un impiego parziale del simbolismo e la trigonometria era diventata una disciplina autonoma. Nel periodo tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 la matematica aveva quasi raggiunto quel livello di maturità che poteva consentire rapidi progressi ma fu necessario un periodo di transizione e, questo passaggio dal Rinascimento al mondo moderno, si realizzò anche attraverso una serie di figure intermedie. La figura centrale di questa fase fu il matematico francese François Viète.


Il mese prossimo l'edizione numero 91 del 14 novembre 2015(“allegro, melodioso”) verrà ospitata da MaddMaths! e il tema è ancora ignoto.

Calendario con le date delle prossime edizioni del Carnevale
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giovedì 1 ottobre 2015

Verso la matematica moderna: Viète, Magini, Clavius e l'introduzione di nuovi simboli e concetti - Numeri e Geometria attraverso la storia

Nella puntata precedente abbiamo detto che dopo la morte di Maurolico (1575) la geometria non conobbe grossi sviluppi per più di 50 anni e, fino all'arrivo di Cartesio, la matematica si sviluppò in altre aree.
Nell'ultimo quarto del XVI sec. l'Europa occidentale aveva recuperato la maggior parte delle opere matematiche dell'antichità che ci sono pervenute1; l'algebra degli arabi era stata assimilata e sviluppata sia attraverso la soluzione generale delle equazioni di terzo grado sia attraverso un impiego parziale del simbolismo (1, 2); e la trigonometria era diventata una disciplina autonoma. Boyer1 afferma che nel periodo tra la fine del '500 e gli inizi del '600 la matematica aveva quasi raggiunto quel livello di maturità che poteva consentire rapidi progressi ma fu necessario un periodo di transizione e, questo passaggio dal Rinascimento al mondo moderno, si realizzò anche attraverso una serie di figure intermedie.
Tuttavia, la figura centrale di questa fase fu il matematico francese François Viète (1540 – 1603), noto anche con il nome latinizzato di Franciscus Vieta. Nato in una famiglia di giuristi, Viète studiò diritto ed esercitò l'avvocatura. A 24 anni diventò precettore di Catherine de Parthenay, a 31 avvocato al parlamento di Parigi e a 33 consigliere al parlamento della Bretagna. Nel 1576 entrò a far parte del servizio del Re: dapprima di Enrico III e poi, nel 1594, di Enrico IV. E sotto quest'ultimo venne incaricato di decifrare i messaggi che gli spagnoli avevano cifrato con una chiave di oltre 500 caratteri. Attività nella quale Viète dimostrò una tale abilità che gli spagnoli lo accusarono di essere in combutta col diavolo.
Nonostante il tempo limitato che poteva dedicare alla matematica a causa dei suoi impegni politici Viète riuscì ad apportare notevoli contributi all'aritmetica, all'algebra, alla trigonometria e alla geometria. Probabilmente la maggior parte di questi vennero prodotti tra il 1564 e il 1568, quando Viète non aveva ancora impegni politici, e tra il 1584 e il 1589, quando Viète venne allontanato dal potere in quanto ugonotto. (Nel 1594 si convertì al cattolicesimo per poter prestare di nuovo servizio per il Re).
Del primo di questi due periodi è l'Harmonicon Coeleste, un testo in cinque libri mai pubblicato ma ancora disponibile come manoscritto (una copia autografa è nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, e un'altra copia di G. Borelli è nella Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma). Nell'Harmonicon Coeleste Viète presentò la sua visione tolemaica del cosmo in quanto egli credeva che l'ipotesi di Copernico non fosse geometricamente valida. Essendo un trattato di astronomia, l'Harmonicon contiene ovviamente anche molta trigonometria.
Nel 1571 Viète pubblicò un'opera di trigonometria, Canon mathematicus, nella quale presentò varie formule sulle funzioni seno e coseno. Questo lavoro costituisce il primo passo avanti della trigonometria dopo i risultati di Copernico e Rheticus. Il Canon, inoltre, fornì un impulso verso l'uso di frazioni decimali in luogo di quelle sessagesimali.
L'uso della virgola decimale vera e propria si attribuisce invece solitamente o a Giovanni Antonio Magini (1555-1617), un astronomo amico di Keplero e concorrente di Galileo alla cattedra di matematica a Bologna, nel suo De planis triangulisoppure a Christophorus Clavius, meglio noto in Italia come Cristoforo Clavio (1538 – 1612), un gesuita, matematico e astronomo tedesco, anch'esso amico di Keplero e noto soprattutto per il suo contributo alla definizione del calendario gregoriano, in una tavola di seni del 1593. Tuttavia la virgola entrò davvero nell'uso comune soltanto venti anni più tardi grazie sopratutto a Nepero. Ma di questo ci occuperemo in seguito.
Tornando invece a Viète, si può dire che fu l'algebra il campo nel quale egli fornì i contributi più importanti imprimendo a questa disciplina un forte impulso verso l'approccio moderno. Quello che vede l'algebra come una forma di ragionamento astratto e non, com'era accaduto per il periodo arabo fino all'inizio dell'età moderna, come un insieme di artifici per risolvere problemi. Prima di Viète, l'obiettivo principale di questa disciplina era rimasto la ricerca del valore dell'incognita, a quei tempi denominata "la cosa", in un'equazione con coefficienti numerici specifici senza avere alcuno schema generale per rappresentare un'intera classe di equazioni, come, ad esempio, quello attualmente in uso (ax2 + bx + c = 0) per rappresentare una qualsiasi equazione di secondo grado. Nella geometria, invece, per mezzo di una figura e di tre lettere si potevano rappresentare tutti i triangoli. Fu qui che Viète introdusse un principio convenzionale tanto semplice quanto rivoluzionario. Usò una vocale per rappresentare l'incognita e una consonante per rappresentare un numero noto introducendo così per la prima volta nell'algebra una netta distinzione tra il concetto di parametro e quello di incognita. A questo punto, usando tutte le notazioni simboliche allora esistenti, sarebbe stato possibile scrivere tutte le equazioni di secondo grado con l'unica formula BA2 + CA + D = 0. Ma né Viète né tanto meno altri matematici del tempo ebbero l'intuizione, o forse la possibilità, di elaborare una tale sintesi. L'algebra di allora rimaneva fondamentalmente un'algebra sincopata; infatti, sebbene Viète adottasse i simboli tedeschi per l'addizione e la sottrazione e usasse simboli diversi per parametri e incognite, per il resto usava ancora espressioni verbali e abbreviazioni.
Con Viète si osserva anche una chiara tendenza verso la correlazione tra la nuova algebra e la vecchia geometria di Apollonio. Il matematico francese arrivò a un passo dalla geometria analitica e, se non avesse evitato lo studio geometrico delle equazioni indeterminate, avrebbe potuto scoprire questa disciplina qualche decennio prima di Cartesio.
Anche la sua trigonometria, così come la sua algebra, fu caratterizzata da una accentuata possibilità di generalizzazione e ampiezza di vedute. Così, oltre a essere considerato il fondatore dell'algebra letterale, Viète potrebbe anche essere considerato il padre di quel metodo analitico generalizzato di trattare la trigonometria che a volte viene chiamato goniometria.

Ma oltre a Viète, in quel periodo, molti altri matematici si interessarono alla trigonometria e produssero manuali e compendi. Il termine stesso "trigonometria" fu coniato in quel periodo da Bartholomaeus Pitiscus  (Grünberg, 1561 – Heidelberg, 1613),che lo usò come titolo di un manuale pubblicato nel 1595.

Anche l'invenzione dei logaritmi avvenne in quegli anni, ma di questo parleremo nella prossima puntata che sarà su Nepero, Harriot, Oughtred e Recorde e l'introduzione di altri nuovi simboli.


martedì 29 settembre 2015

La matematica di Francesco Merlo

Francesco Merlo deve aver avuto insegnanti di matematica un po' difficili oppure deve essere stato uno studente con una capacità d'apprendimento piuttosto selettiva. Quando domenica ho sentito il suo commento relativo alla matematica sulla rassegna stampa di radio 3 (puntata completa) sono saltato sulla sedia. Poi, grazie a Peppe Liberti ho trovato anche l'audio di quella chicca. Sentite qua!

"Tutti parlano della matematica, eccetera. Che certo è importantissima, per carità. «Ah, guardate in matematica gli asiatici, eccetera, gli indiani!», beh, non mi pare che l’India sia il primo paese del mondo. Se davvero la matematica fosse così importante tutti questi geni indiani avrebbero portato... E poi: «perché gli italiani non amano la matematica» e anche questa è una cosa... forse perché ce n'è troppa: il numero di telefono, i numeri, il bancomat, il... persino questa si chiama Radio 3, pensi, ciò devo pensare a un numero per identificarla. E il... quando premi un tasto per cercare un disco in macchina è sempre con un numero. E va bè. Comunque..."

Francesco Merlo, Prima Pagina (Radio3) 27.09.2015

Per fortuna lo sventurato non sa ancora che esiste la numerazione di Gödel (e non solo quella) con la quale sarebbe possibile codificare ogni suo articolo in un numero. Anzi si potrebbero addirittura codificare tutti i numeri di Repubblica. O tutta una biblioteca. O tutto il sapere umano che sia mai stato scritto… Aspetta un attimo! Ma questo non è il progetto di Google?! Ahhhh! Il complotto pluto-aritmetico-massonico!

lunedì 7 settembre 2015

I primi mesi di scuola superiore e la matematica di Gambadilegno

Giorgio Bellini aveva già assistito più volte alla scena in cui il professor Compagnoni, dopo un attacco di tosse spaccapolmoni, apriva la finestra per espellere il grumo di muco bronchiale intriso di nicotina al di fuori delle pareti scrostate dell'edificio scolastico. Ma quel giorno il quattordicenne non credette ai suoi occhi quando vide il grumo finire sul pavimento dell'aula perché il professore non era riuscito ad aprire quella finestra arrugginita.

In quegli anni poteva capitare che l'insegnante di matematica di un istituto professionale per l'industria e l'artigianato della periferia romana fosse un geometra. Ma non nel senso di specialista della disciplina matematica della geometria. Alvaro Compagnoni era uno dei geometri di riferimento di quella circoscrizione romana. Un amico degli amici per cui vent'anni prima: "un posto nel nuovo istituto professionale non si nega a nessuno". Ma Giorgio dopo i primi due mesi di scuola aveva già capito che non era solo una questione di titoli di studio. Infatti, il professore di elettronica Enzo Faggiani, pur non essendo laureato, era un insegnante formidabile: motivato, colto, preparato, affabile, umano e carismatico. L'unico difetto che aveva era la sua personale scala di voti che andava dal 4 al 7. Ma poi, verso la fine dell'anno, Giorgio si sarebbe accorto che, rarissimamente, quando si rispondeva perfettamente e le domande erano difficili, si poteva ottenere anche un 8.

Giorgio Bellini cercò di trovare anche degli attributi adatti a descrivere il professor Compagnoni ma gliene venne in mente solo uno: la suinitudine. Il professore la esprimeva sia fisicamente, pur ricordando molto Pietro Gambadilegno, sia metaforicamente, nei modi. Alvaro Compagnoni arrivava solitamente in classe con un quotidiano e passava, quando andava bene, almeno tre quarti del tempo a leggerlo. Poi dava uno sguardo al registro e a volte spiegava sommariamente qualcosa. Altre volte, in prossimità della fine del quadrimestre, accorgendosi di aver dato pochi voti, interrogava a casaccio oppure improvvisava un improbabile compito in classe.
Un'interrogazione che rimase negli annali della classe fu quella in cui rispedì al banco Antonio De Pedis, un compagno di classe di Giorgio, tra le urla e le bestemmie. Antonio era tra i più studiosi della classe ma era anche molto ansioso. Il fatto di trovarsi di fronte a un insegnante così aggressivo gli aveva paralizzato le attività intellettive e quello stato di panico aveva fatto imbestialire Compagnoni.
Quell'anno Giorgio, facendosi descrivere i programmi da amici che frequentavano altri istituti scolastici, cercò di integrare autonomamente le carenze dell'insegnamento del professor Compagnoni.

Nel secondo anno di scuola superiore la situazione non migliorò. Anzi, per quanto riguarda l'apprendimento della matematica, per Giorgio quell'anno fu peggio del primo. Visto che il professor Compagnoni fu rimpiazzato da un'insegnante con grossi problemi personali. Ma questo Giorgio lo avrebbe capito bene solo qualche anno dopo. In quel momento si univa a, e a volte capeggiava, gli scherzi che andavano a colpire i punti deboli di quell'insegnante. Così, nella successiva estate, Giorgio passò un po' di tempo a colmare le lacune matematiche.

Al terzo anno la situazione cambiò radicalmente. La nuova professoressa, Gianna Colantoni, era una neolaureata in matematica e, dopo meno di un mese di scuola, Giorgio se n'era già letteralmente innamorato. Non che la professoressa fosse dotata di chissà quali bellezze fisiche. Non era come con Graziella Pace, durante le cui lezioni quasi tutta la classe, tranne Giorgio, De Pedis e forse un altro compagno, sceglieva posizioni strategiche per poterle guardare le gambe. No, la Colantoni piaceva solo a Giorgio. Il modo in cui parlava, il modo in cui spiegava, il modo in cui gli sorrideva: tutto gli provocava batticuori e ondate di emozioni. E l'amore per la professoressa si confuse con l'amore per la materia che la Colantoni insegnava con bravura e passione. Giorgio la subissava di domande e alla professoressa la cosa non sembrava dispiacere. Presto le domande cominciarono a sconfinare verso temi che andavano oltre il programma di quell'anno. E quando Giorgio scoprì l'analisi matematica, con quegli affascinanti concetti di limite e di infinito, le domande si moltiplicarono. Tanto che un giorno la Colantoni si presentò in aula con due libri.
- Questi sono i libri di testo su cui ho studiato per il mio primo esame di analisi. Te li regalo - gli disse la professoressa.
Giorgio fu invaso da una gioia incontrollabile che subito cercò di contenere per evitare imbarazzanti prese in giro da parte dei compagni di classe. Quei due libri diventarono subito una specie di feticcio per Giorgio. Li conservava, li sfogliava e li studiava quasi come fossero una parte della mente e del corpo della professoressa.
Anche il professor Baroni, che gli insegnò la geometria analitica e l'analisi matematica durante il quarto e il quinto anno, era molto bravo. Ma quando Giorgio prese la decisione di iscriversi a matematica non fu solo grazie a lui. E quando, sedici anni dopo, vinse un'importante premio per matematici, tra i vari maestri che aveva avuto, quella che ricordò con più affetto fu proprio la professoressa Gianna Colantoni.