Continua da Archita, Platone, Eudosso e la duplicazione del cubo - seconda parte
«Adesso entrano in gioco questi altri solidi», continuò il giovane indicando le tre figure rimanenti. «Dovremmo immaginare che questo cono circolare», proseguì prendendo la corrispondente figura di legno colorata d’azzurro, «sia quello avente vertice nel punto di intersezione tra la circonferenza rossa e quella gialla e passante per il cerchio azzurro».
«Uhm», annuì Platone.
«Poi, si costruisce il cilindro che passi per il cerchio rosso», disse mostrando il cilindro rosso.
«Poi, si costruisce il cilindro che passi per il cerchio rosso», disse mostrando il cilindro rosso.
«E, infine, il cerchio giallo viene fatto ruotare in modo da formare questo toro», disse mostrando il toro giallo.
«E ora dovremmo immaginare la presenza contemporanea di questi tre solidi costruiti a partire da quei tre cerchi. I tre solidi si intersecherebbero in quattro punti»2. Platone annuì dopo aver riflettuto qualche istante.
«E così il procedimento è finito. Perché prendiamo uno di questi punti d’intersezione, lo proiettiamo sul piano del cerchio rosso, e poi proiettiamo quel nuovo punto sull’asse del cono azzurro.
Ed ecco che il segmento compreso tra il vertice di quel cono e quel secondo nuovo punto sarà proprio il lato del cubo di volume doppio rispetto al cubo iniziale».
«E la dimostrazione?», chiese Platone.
«La dimostrazione… è un po’ complicata», disse Eudosso dopo un istante di esitazione. «Il maestro ha voluto che ogni allievo la scrivesse. È tutta qui», disse mostrando le tavolette che aveva portato con sé.
Platone ne prese in mano un paio. Erano sette in tutto. Contenevano fitte descrizioni testuali che, a partire dal lato del cubo da raddoppiare, definivano esattamente tutti i passaggi per costruire i tre cerchi, i tre solidi e l’intersezione tra di loro. Nelle altre tavolette seguiva la dimostrazione di come quel punto di intersezione permetteva di costruire il lato del cubo con volume doppio rispetto al cubo costruito sul segmento iniziale.
Eudosso aveva ragione. Quella dimostrazione era tra le più complesse che avesse mai visto.
«È stupefacente!», sussurrò infine Platone. «L’occhio della ragione di Archita è tra i più acuti che io abbia mai conosciuto. Pochi come lui riescono a ricostruire così bene gli oggetti a partire dalle loro ombre». Il giovane lo guardava perplesso.
«Non capisco bene il discorso delle ombre e degli oggetti», disse infine.
«Credi che questo sia un cubo?», chiese Platone indicando la figura di legno che avevano usato poco prima.
«Beh… dire di sì».
«Se fosse un cubo quei dodici spigoli dovrebbero avere tutti esattamente la stessa lunghezza. E tutti quegli angoli dovrebbero essere perfettamente retti», osservò Platone. «Credi che le cose stiano così?» Eudosso lo guardava con le ciglia aggrottate. «Il falegname che lo ha costruito ha usato i suoi strumenti per renderlo il più possibile simile a un cubo», riprese Platone. «Ma se avesse avuto a disposizione strumenti più precisi, non si sarebbe accorto che quei dodici spigoli non hanno tutti esattamente la stessa lunghezza? Non si sarebbe accorto che quegli angoli non sono tutti esattamente retti?». Eudosso annuì dopo qualche istante di riflessione. «Quel pezzo di legno», continuò Platone, «è solo la proiezione dell’ombra del quadrato ideale. È il nostro tentativo di rappresentare qualcosa che non potremo mai produrre materialmente ma che potremo solo contemplare nel mondo delle idee investigandolo attraverso la ragione». Eudosso annuì più convinto. «Tornando, invece, all’aspetto più pratico, relativo al calcolo e alla dimostrazione», proseguì Platone, «una differenza che noto è che nel caso della duplicazione del quadrato si usa solo la figura di partenza più alcuni segmenti tracciati a partire da quella figura. Sono tutte operazioni geometriche che potrebbero essere eseguite usando solo gli strumenti della riga e del compasso. Mentre nel caso del cubo bisogna ricorrere alla costruzione di altre figure piane, di altre figure solide, di intersezioni e proiezioni. Certo, funziona, ma…».
«Ma, cosa?». «Mi chiedo se non esista una dimostrazione così semplice anche per la duplicazione del cubo. Da una parte», cercò d’illustrare meglio all’occhio curioso di Eudosso, «abbiamo tre cerchi, un cono, un cilindro, un toro, intersezioni e proiezioni. Mentre dall’altra», proseguì Platone, «abbiamo solo qualche prolungamento di lato, il tracciamento di quattro diagonali e una semplice dimostrazione. Ecco… mi chiedevo se non esistesse una costruzione più semplice anche per la duplicazione del cubo. Una dimostrazione che si possa produrre usando solo la riga e il compasso». Eudosso continuava a fissarlo assorto. «Beh, comunque grazie per la spiegazione. Questo nostro primo incontro è stato molto fruttuoso. Spero lo siano anche i prossimi», disse infine Platone. Poi si accomiatò.
1 Grazie di cuore all'amico Sebastian Abbott per aver prodotto le ottime immagini.
2 Con notazione moderna.
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