Nella puntata precedente abbiamo visto che Stifel nella sua Arithmetica integra del 1544 unificò i vari casi di equazioni di secondo grado. L'opera di Stifel risultò tuttavia superata già dopo un anno di vita.
Nel 1545 usciva infatti l'Ars Magna di Gerolamo Cardano (1501 -1576) che conteneva le soluzioni delle equazioni sia di terzo che di quarto grado. Un progresso sbalorditivo e inatteso per l'algebra. Tanto da portare qualche storico a considerare il 1545 come l'anno di inizio del periodo moderno della matematica.
Cardano tuttavia non fu lo scopritore né della soluzione delle equazioni di terzo grado né di quella delle equazioni di quarto grado.
Perché fu lui allora il primo a pubblicarle? E a chi andrebbe invece la vera gloria per la scoperta?
La storia non è delle più edificanti.
È Cardano stesso ad ammettere nel suo libro che l'idea gliel'aveva data Niccolò Tartaglia (1499 – 1557). Nome che a molti di voi evocherà il celebre Triangolo di Tartaglia. Triangolo che in realtà era già noto qualche secolo prima, ma che in molti paesi tuttora viene denominato ancora più a sproposito Triangolo di Pascal.
Ma tornando alle equazioni, dicevamo che Cardano scrisse che l'idea gliel'aveva data Tartaglia. Quello che invece Cardano dimenticò di scrivere è che Tartaglia gli aveva fatto solennemente promettere di non divulgare il segreto. Quest'ultimo aveva infatti in mente di scrivere un trattato sull'algebra in cui la rivelazione della soluzione delle equazioni di terzo grado sarebbe stata la ciliegina che lo avrebbe coronato come il più grande matematico del tempo.
La vera gloria per la scoperta andrebbe quindi a Tartaglia?
Non proprio. Intanto per evitare che Tartaglia venga considerato la povera vittima innocente bisogna ricordare che anche lui nel 1543 aveva pubblicato una traduzione archimedea altrui spacciandola per propria.
Ma per sbrogliare la matassa bisogna tornare qualche anno indietro.
E precisamente al 1526 anno della morte di Scipione del Ferro (1465 – 1526). Fu allora che del Ferro, professore di matematica all'università di Bologna, rivelò sul letto di morte ad un suo studente, Antonio Maria Fior, la soluzione delle equazioni di terzo grado della forma x3 + px = q. Come nota a margine qui bisogna aggiungere che a quei tempi le notazioni algebriche erano un po' diverse e che la suddetta equazione veniva espressa più o meno in questo modo: "trovare cubo et cose equal a un numero".
Non si sa come e quando del Ferro fosse riuscito a scoprire la soluzione. Non aveva infatti mai voluto rivelare né tantomeno pubblicare la sua scoperta. Ma non aveva neppure rivelato di aver fatto una scoperta. Forse perché pensava di pubblicarla solo quando avrebbe trovato la soluzione per l’equazione più generale: x3 + mx2 + px = q (trovare cubo, censi et cose equal a numero).
Ad ogni modo, la voce della rivelazione cominciò a circolare nell'ambiente dei matematici e raggiunse probabilmente anche l'orecchio di Tartaglia. A quel punto Tartaglia fu probabilmente stimolato a sviluppare delle sue ricerche in merito. Non si sa bene quanto queste ricerche avvennero in modo indipendente e quanto fossero basate su idee altrui. Fatto sta che nel 1530 Tartaglia era in possesso di una formula risolutiva per un altro tipo di equazioni di terzo grado. Questa volta le equazioni della forma x3 + mx2 = q (trovare cubo et censi equal a numero).
Tartaglia ne parla con qualcuno, l'ambiente dei matematici è piccolo, e di nuovo la voce della scoperta si diffonde e giunge fino alle orecchie di Antonio Maria Fior. A quel punto Fior, pensando che Tartaglia sia un impostore, pensa bene di sfidarlo pubblicamente a singolar tenzone. Questa sorta di duelli pubblici tra uomini di scienza erano all'epoca molto diffusi.
In che cosa consistevano?
Ciascuno dei duellanti sottoponeva all'altro una lista di problemi da risolvere entro una certa data. Dopodiché, nella data e nel luogo stabilito, gli sfidanti presentavano pubblicamente le eventuali soluzioni. La posta in gioco erano fama, onore e danaro. Questo era uno dei motivi per cui le scoperte venivano spesso gelosamente custodite.
Nel nostro caso specifico gli accordi tra Fior e Tartaglia prevedono che ognuno fornisca all'avversario trenta problemi da risolvere entro quaranta giorni.
Il 22 febbraio 1535 è il giorno fissato. La piazza è gremita da una folla di studenti, professori, aspiranti matematici, sfaccendati, passanti curiosi, ma anche testimoni, giudici e un notaio. Tutti attendono la grande sfida. Il volto di Tartaglia, a differenza di quello di Fior, appare sereno. Nonostante ciò, quando il giudice gli dà la parola, Tartaglia parla a stento e la sua lingua inciampa più volte sulle parole. Come mai? L'espressione del volto era solo una maschera indossata per nascondere il nervosismo?
Lo scopriremo nella seconda parte...
Puntate precedenti...
Indice della serie
Nel 1545 usciva infatti l'Ars Magna di Gerolamo Cardano (1501 -1576) che conteneva le soluzioni delle equazioni sia di terzo che di quarto grado. Un progresso sbalorditivo e inatteso per l'algebra. Tanto da portare qualche storico a considerare il 1545 come l'anno di inizio del periodo moderno della matematica.
Cardano tuttavia non fu lo scopritore né della soluzione delle equazioni di terzo grado né di quella delle equazioni di quarto grado.
Perché fu lui allora il primo a pubblicarle? E a chi andrebbe invece la vera gloria per la scoperta?
La storia non è delle più edificanti.
È Cardano stesso ad ammettere nel suo libro che l'idea gliel'aveva data Niccolò Tartaglia (1499 – 1557). Nome che a molti di voi evocherà il celebre Triangolo di Tartaglia. Triangolo che in realtà era già noto qualche secolo prima, ma che in molti paesi tuttora viene denominato ancora più a sproposito Triangolo di Pascal.
Ma tornando alle equazioni, dicevamo che Cardano scrisse che l'idea gliel'aveva data Tartaglia. Quello che invece Cardano dimenticò di scrivere è che Tartaglia gli aveva fatto solennemente promettere di non divulgare il segreto. Quest'ultimo aveva infatti in mente di scrivere un trattato sull'algebra in cui la rivelazione della soluzione delle equazioni di terzo grado sarebbe stata la ciliegina che lo avrebbe coronato come il più grande matematico del tempo.
La vera gloria per la scoperta andrebbe quindi a Tartaglia?
Non proprio. Intanto per evitare che Tartaglia venga considerato la povera vittima innocente bisogna ricordare che anche lui nel 1543 aveva pubblicato una traduzione archimedea altrui spacciandola per propria.
Ma per sbrogliare la matassa bisogna tornare qualche anno indietro.
E precisamente al 1526 anno della morte di Scipione del Ferro (1465 – 1526). Fu allora che del Ferro, professore di matematica all'università di Bologna, rivelò sul letto di morte ad un suo studente, Antonio Maria Fior, la soluzione delle equazioni di terzo grado della forma x3 + px = q. Come nota a margine qui bisogna aggiungere che a quei tempi le notazioni algebriche erano un po' diverse e che la suddetta equazione veniva espressa più o meno in questo modo: "trovare cubo et cose equal a un numero".
Non si sa come e quando del Ferro fosse riuscito a scoprire la soluzione. Non aveva infatti mai voluto rivelare né tantomeno pubblicare la sua scoperta. Ma non aveva neppure rivelato di aver fatto una scoperta. Forse perché pensava di pubblicarla solo quando avrebbe trovato la soluzione per l’equazione più generale: x3 + mx2 + px = q (trovare cubo, censi et cose equal a numero).
Ad ogni modo, la voce della rivelazione cominciò a circolare nell'ambiente dei matematici e raggiunse probabilmente anche l'orecchio di Tartaglia. A quel punto Tartaglia fu probabilmente stimolato a sviluppare delle sue ricerche in merito. Non si sa bene quanto queste ricerche avvennero in modo indipendente e quanto fossero basate su idee altrui. Fatto sta che nel 1530 Tartaglia era in possesso di una formula risolutiva per un altro tipo di equazioni di terzo grado. Questa volta le equazioni della forma x3 + mx2 = q (trovare cubo et censi equal a numero).
Tartaglia ne parla con qualcuno, l'ambiente dei matematici è piccolo, e di nuovo la voce della scoperta si diffonde e giunge fino alle orecchie di Antonio Maria Fior. A quel punto Fior, pensando che Tartaglia sia un impostore, pensa bene di sfidarlo pubblicamente a singolar tenzone. Questa sorta di duelli pubblici tra uomini di scienza erano all'epoca molto diffusi.
In che cosa consistevano?
Ciascuno dei duellanti sottoponeva all'altro una lista di problemi da risolvere entro una certa data. Dopodiché, nella data e nel luogo stabilito, gli sfidanti presentavano pubblicamente le eventuali soluzioni. La posta in gioco erano fama, onore e danaro. Questo era uno dei motivi per cui le scoperte venivano spesso gelosamente custodite.
Nel nostro caso specifico gli accordi tra Fior e Tartaglia prevedono che ognuno fornisca all'avversario trenta problemi da risolvere entro quaranta giorni.
Il 22 febbraio 1535 è il giorno fissato. La piazza è gremita da una folla di studenti, professori, aspiranti matematici, sfaccendati, passanti curiosi, ma anche testimoni, giudici e un notaio. Tutti attendono la grande sfida. Il volto di Tartaglia, a differenza di quello di Fior, appare sereno. Nonostante ciò, quando il giudice gli dà la parola, Tartaglia parla a stento e la sua lingua inciampa più volte sulle parole. Come mai? L'espressione del volto era solo una maschera indossata per nascondere il nervosismo?
Lo scopriremo nella seconda parte...
Puntate precedenti...
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