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domenica 26 maggio 2019

Sull’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali - "La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini" di Paolo Zellini

L'ultima volta ho riportato delle osservazioni di Zellini sul limite del concetto di limite.

Oggi riporto osservazioni sull’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali.

"Alla fine, quella che è stata definita «l’irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali» appare la conseguenza di una complessa e articolata combinazione di proprietà e di circostanze che attenuano sensibilmente l’impressione iniziale di accidentalità dei possibili collegamenti tra i concetti astratti della matematica e il mondo fisico.
...
Il concetto di sezione e il continuo aritmetico di Dedekind sono la naturale conseguenza di un fatto primordiale che si esprime in una costruzione algoritmica: «Non è forse vero che il concetto di partizione [di sezione secondo Dedekind] è preceduto da un fatto puramente algoritmico, cioè dal bisogno di giustificare e legittimare certi processi algoritmici come quello dell’approssimazione per eccesso e per difetto di √ 2, che si traducono precisamente nella costruzione di classi composte di infiniti numeri discreti?».
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Come spiegava Tommaso d’Aquino, prima di ciò che esiste in potenza deve esserci qualcosa che esiste in atto, perché la potenza non si risolve in atto se non per qualcosa che già esiste in atto."

lunedì 1 aprile 2019

Il limite del concetto di limite - "La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini" di Paolo Zellini

L'ultima volta ho riportato un'interessante osservazione di Zellini sul grado di realtà dei numeri.

Oggi riporto osservazioni altrettanto interessanti sul concetto di limite... In qualche modo sul limite del concetto di limite.

"...con applicazioni ripetute di un operatore si genera una successione di numeri la cui distanza dalla soluzione tende a zero. Da simili processi di calcolo, noti fin dalla più remota antichità, derivarono i concetti analitici di limite e di convergenza di una successione, e certe dimostrazioni di convergenza si basano ancora, più che su argomentazioni logiche, sull’esistenza e sulle proprietà degli stessi processi di calcolo. Ma siamo effettivamente in grado, con una procedura iterativa, di avvicinarci alla soluzione fino a ridurre la distanza a un valore arbitrariamente piccolo? I matematici non si sono posti questo problema per molto tempo, e si sente spiegare ancora oggi, con le stesse parole di Cauchy, come si possano calcolare, per una radice di un’equazione algebrica, «valori numerici approssimati arbitrariamente vicini». Tuttavia questo avvicinamento indefinito alla soluzione vale solo in linea di principio, e l’errore di approssimazione non può diventare arbitrariamente piccolo. Gli errori di arrotondamento creano fatalmente, attorno alla radice dell’equazione, un intervallo di incertezza che rende privi di significato i valori numerici calcolati oltre un certo limite di approssimazione: un buon algoritmo potrà fornire, dopo un certo numero di passi, un valore all’interno di quell’intervallo, ma non ha senso cercare di migliorare quel valore calcolandone uno successivo dentro lo stesso intervallo."

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Ma i numeri hanno tutti lo stesso grado di realtà?

mercoledì 23 gennaio 2019

Ma i numeri hanno tutti lo stesso grado di realtà? - "La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini" di Paolo Zellini

L'ultima volta hocommentato la considerazione di Zellini secondo cui nel continuo ci sono infinite metà, ma solamente in potenza e non in atto. "In termini più semplici si potrebbe riassumere così: è assurdo pensare che ciò che si muove si muova contando."

Oggi riporto un'interessante osservazione sul grado di realtà dei numeri. Cioè, sul loro statuto ontologico.

"...Quel che è certo, al contrario di ciò che pensavano Cantor o Frege, è che i numeri non hanno tutti il medesimo statuto ontologico. I numeri che esistono, ma che non si possono calcolare, non hanno la stessa realtà dei numeri calcolati dalla macchina. I primi non si collocano, a differenza dei secondi, nello spazio e nel tempo di un’effettiva elaborazione automatica, né attualmente né virtualmente. Da un certo punto di vista un numero esiste, è reale, solamente se c’è una effettiva procedura che lo calcola. Ma questa procedura deve essere anche efficiente: altrimenti, come nel caso del metodo di Cramer o della matrice di Hilbert, non si saprebbe distinguere, sul piano di una effettiva realizzabilità, il calcolabile dal non calcolabile. Ciò che è calcolabile è come se non lo fosse."



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Non ci si può muovere contando

domenica 1 luglio 2018

Non ci si può muovere contando - "La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini" di Paolo Zellini

L'ultima volta abbiamo visto come Zellini dà ragione a Zenone ritenendo che Weierstrass, col bandire rigorosamente tutti gli infinitesimali, dimostrò finalmente che viviamo in un mondo immutabile, e che la freccia, in ogni singolo istante del suo volo, è realmente in quiete. L’immobilità prevale sul movimento che può essere interpretato attraverso le sole coordinate dello spazio-tempo, e quindi per via di successive posizioni fisse e puntuali. Per cui «La meccanica può spiegare il movimento solo attraverso l’immobilità».

Oggi proseguiremo ancora su quel tema riportando le considerazioni che spingono Zellini a concludere: "nel continuo ci sono, è vero, infinite metà, ma solamente in potenza, non in atto. In termini più semplici si potrebbe riassumere così: è assurdo pensare che ciò che si muove si muova contando. Ma allora era chiaro che il movimento e la continuità della retta non potevano trovare una spiegazione nei soli numeri naturali con cui si contano le cose una per una. Si sarebbe resa necessaria una teoria più generale del numero e una estensione dell’idea di attualità a quelli che alla fine del XIX secolo si sarebbero chiamati, non a caso, numeri reali."

"Come spiegava Russell, «infinità e continuità appaiono insieme nell’aritmetica pura» (Principles, par. 435). Fu questa conquista dell’intelletto a presentarsi come un rimedio alle difficoltà che Zenone aveva sollevato circa la natura del movimento e la composizione del continuo. La soluzione moderna del paradosso di Achille si basò sull’assumere come reale o possibile proprio ciò che Zenone considerava paradossale, cioè, nel commento di Russell, l’assenza di uno stato di moto: un sacrificio che salvava un dato irrinunciabile, l’esistenza attuale delle cose. Un’entità attuale, notava Whitehead, non si muove: essa è dove è ed è ciò che è. Russell sosteneva che la nozione di uno stato di moto non è fondata, perché il movimento è fatto di posizioni atomiche occupate in determinati istanti, entrambi valutabili mediante numeri reali, corrispondenti a punti della retta. Aristotele (Fisica, 234 a 24 sgg.) aveva dimostrato che nulla può muoversi in un istante fissato, e che perciò il tempo non è fatto di istanti. Russell rispondeva che in effetti è vero, nell’istante nulla si muove, e che questo è compatibile con una teoria coerente del continuo aritmetico provvisto di metrica euclidea, come era stato elaborato da Weierstrass, da Dedekind e da Cantor. Solamente così si poteva garantire la realtà di ciò che muta e si muove. Il paradossale diventava reale...

La matematica è sempre stata un’arte del paradosso, e le sue formule hanno spesso suscitato una reazione d’incredulità nello stesso scienziato che le ha scoperte o ideate. Ma la matematica è anche un’arte di costruire simulazioni e modelli fedeli, fin dove è possibile, delle nostre concezioni comuni, mediante definizioni e teorie in grado di farci riconoscere ciò che ci attendiamo. A quell’impercettibile forzatura che si coglie nei commenti di Russell, seguì l’esplicito imbarazzo del commento al primo paradosso sul moto di Zenone da parte di Hilbert e di Bernays, fatto proprio, successivamente, anche da Stephen Kleene: C’è una soluzione molto più radicale del paradosso. Questa consiste nel prendere atto che non siamo obbligati in nessun modo a credere che la rappresentazione matematica del moto in termini di spazio e tempo sia fisicamente significativa per intervalli di spazio e di tempo arbitrariamente piccoli; piuttosto abbiamo ogni ragione di supporre che quel modello matematico estrapola i fatti di un certo dominio di esperienza, cioè i movimenti entro ordini di grandezza finora accessibili alla nostra osservazione, nel senso di una semplice costruzione concettuale, analoga al modo in cui la meccanica dei continui effettua un’estrapolazione in cui si assume che lo spazio sia riempito, in modo continuo, di materia.
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La situazione è simile in tutti i casi in cui si crede possibile esibire direttamente un infinito [attuale] come dato dall’esperienza o dalla percezione
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Un esame più attento mostra allora che un’infinità non ci è data in nessun modo, ma è interpolata o estrapolata per via di un procedimento intellettuale. Non c’era però altra via se non appunto quella di estrapolare, di completare i fatti dell’esperienza con un modello matematico del continuo, riconducibile a sua volta, come notò Hermann Weyl, a una mera costruzione simbolica. Aristotele (Fisica, 263 a 25-30) osservava che se si divide ripetutamente il continuo in due metà non possono risultare continui né la linea né il movimento. Il movimento, precisava, è proprio di un continuo, e nel continuo ci sono, è vero, infinite metà, ma solamente in potenza, non in atto. In termini più semplici si potrebbe riassumere così: è assurdo pensare che ciò che si muove si muova contando. Ma allora era chiaro che il movimento e la continuità della retta non potevano trovare una spiegazione nei soli numeri naturali con cui si contano le cose una per una. Si sarebbe resa necessaria una teoria più generale del numero e una estensione dell’idea di attualità o di entelechia a quelli che alla fine del XIX secolo si sarebbero chiamati, non a caso, numeri reali."

...continua...

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mercoledì 16 maggio 2018

Zenone aveva ragione! - "La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini" di Paolo Zellini

L'ultima volta ho condiviso considerazioni di Zellini sul tema del realismo in matematica e dall'annoso pitagorico problema dei razionali e degli irrazionali.
Oggi proseguiamo su quel tema riportando le considerazioni di Zellini sui paradossi di Zenone... Ma quindi Zenone aveva ragione?

"In questo mondo capriccioso, nulla è più capriccioso della fama presso i posteri. Una delle più notevoli vittime della mancanza di senno è Zenone di Elea. Malgrado abbia inventato quattro argomentazioni tutte smisuratamente sottili e profonde, la stupidità dei filosofi a lui successivi proclamò che Zenone non era altro che un ingegnoso giocoliere e le sue argomentazioni erano tutte sofismi. Dopo duemila anni di continua confutazione, questi sofismi sono stati nuovamente enunciati, e formarono la base di una rinascita della matematica ad opera di un professore tedesco...
Weierstrass, col bandire rigorosamente tutti gli infinitesimali, ha finalmente dimostrato che noi viviamo in un mondo immutabile, e che la freccia, in ogni singolo istante del suo volo, è realmente in quiete.
Russell (Principles, par. 332) pensava che l’argomento della freccia enunciasse un fatto del tutto elementare, e che il trascurarlo avesse tenuto la filosofia del movimento in un pantano per lunghi secoli. Il suo richiamo a Karl Weierstrass si può spiegare in questo modo: assieme ad Augustin-Louis Cauchy, Weierstrass fu il primo matematico a rifondare con chiarezza l’analisi senza infinitesimi, affermando che

una funzione f(x) tende a un limite L, per x che tende a l, se, in corrispondenza a un dato valore positivo ε comunque piccolo, si può trovare un numero positivo δ (dipendente da ε) tale che la distanza di f(x) da L è minore di ε quando la distanza di x da l è minore di δ. Se L = 0 la funzione f si approssima a 0 per x che tende a l, ma nella definizione si evita appositamente di dire che il valore f(x) diventa infinitesimo.

Scompare allora l’idea del fluire, della tensione dinamica della variabile verso il suo limite, semplicemente perché le variabili, entro i confini disegnati da ε e da δ, non si muovono affatto, assumono soltanto i valori che a loro competono. L’immobilità prevale sul movimento
Si può allora definire la velocità di un corpo in un istante t soltanto come il limite del rapporto tra lo spazio percorso e il tempo di percorrenza al tendere della variabile tempo all’istante t. Questo limite, un semplice numero, è la derivata dello spazio come funzione del tempo di percorrenza all’istante t. In questo modo si potevano evitare le «quantità evanescenti» concepite nei primi sviluppi del calcolo infinitesimale.
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I numeri razionali e irrazionali, pensati come limiti di variabili, ereditavano la natura effettiva e reale di concetti fisici come la velocità e l’accelerazione. Negli stessi numeri si potevano ravvisare delle entità atomiche paritetiche ai punti della retta. Il movimento poteva essere interpretato attraverso le sole coordinate dello spazio-tempo, e quindi per via di successive posizioni fisse e puntuali. «La meccanica può spiegare il movimento solo attraverso l’immobilità».

Solamente nei numeri, era questa la conclusione importante, si trovava la realtà del continuo spazio-temporale. E i numeri che assolvevano a questo compito potevano essere sia razionali che irrazionali. Di più, l’esistenza dei numeri reali (razionali + irrazionali) sarebbe apparsa, dopo Weierstrass, l’effetto di una libera creazione del matematico, ancorché indotta da proprietà oggettive del corpo numerico. Quale migliore accordo tra pensiero e natura, tra libertà ed effettività?
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ma la continuità geometrica era già di fatto concepita, grazie alle teorie di Cantor e di Dedekind, come un dominio di numeri attuali. Il disegno dell’aritmetizzazione dell’analisi aveva già atomizzato l’estensione continua. L’attualità poggia infine, nella teoria del continuo numerico, su entità atomiche definite, costituenti un sistema di divisioni reali, di eventi istantanei in relazione con altri eventi collocati in qualche punto del continuo. Tra numeri e punti si stabilisce assiomaticamente una corrispondenza biunivoca, e per il tramite dei numeri i punti dello spazio e gli istanti del tempo acquistano una nuova specie di realtà."

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domenica 5 febbraio 2017

Zellini e l'ontologia della matematica

"Le proposizioni logiche che affermano l'esistenza di qualcosa non servono a sapere ciò che esiste realmente. Ma servono a capire che cosa una nostra asserzione dice che ci sia. Quindi il problema logico è un problema linguistico non un problema ontologico. La logica non conclude nulla sulla realtà delle cose. Come la fisica non conclude nulla sulla realtà delle cose.
Qual è, invece, la realtà della matematica? La matematica è solo uno strumento della fisica? Ha un carattere non ontologico come la logica? Come la maggior parte dei matematici, io sono convinto che la matematica è un mondo a sé. È un mondo reale anche se i suoi enti sono reali in un modo diverso da quello per cui gli enti fisici sono reali."
Paolo Zellini

Storie umane di matematici di Chiara Valerio - Passioni del 11/12/2016 - Paolo Zellini, matematico, autore di Breve storia dell’infinito (Adelphi, 1983) e dell’ultimo Matematica degli dei e Algoritmi degli uomini (Adelphi, 2016) ci racconta le insidie dell’infinito e degli infiniti numeri.

mercoledì 14 dicembre 2016

Paolo Zellini, Fabio Fazio e i luoghi comuni sulla matematica

Dopo aver scritto Paolo Zellini e le mappe di Borges mio zio mi ha segnalato l'intervista di Fazio a Zellini. L'ho guardata e posso confermare che, come riportato dai commenti che avevo letto, Zellini non ha brillato durante l'intervista di Fazio. Nonostante la complessità del tema si sarebbe potuto preparare un po' meglio per presentare un libro di notevole spessore. Certo è che i tre minuti di introduzione di Fazio sono stati penosi: una fiera del luogo comune sulla matematica. Invece di aiutare a superarli quei luoghi comuni li ha rafforzati. Si capiva pure, ma senza troppe sorprese, che diverse delle domande che avevano preparato per Fazio venivano ripetute senza che l'intervistatore ne capisse bene il senso. Ma quello è un peccato venialissimo rispetto all'introduzione piena di inutili stereotipi.

Ecco la puntata.

martedì 13 dicembre 2016

Paolo Zellini e le mappe di Borges

Spesso, quando mi trovo a leggere dei saggi, ho l'abitudine di annotarmi e/o condividere i passaggi che ritengo più interessanti.

Con La matematica degli dèi e gli algoritmi degli uomini di Paolo Zellini la cosa mi rimane difficile perché, un po' come la storia della mappa di Borges, il risultato delle mie annotazioni tendono essere una mappa uno a uno e a coincidere con il libro stesso.

Vi segnalo anche un articolo del Post: Chi è Paolo Zellini.

« Tra i libri italiani degli ultimi anni quello che ho più letto, riletto e meditato è la Breve storia dell'infinito di Paolo Zellini »
(Italo Calvino, Lezioni americane)

...continua...