«Dunque, la dea vi disse che pensare è lo stesso che essere…».
«Ti faccio un esempio» lo interruppe Parmenide. «Nelle lezioni ho parlato dei pitagorici e della loro teoria del numero».
«Sì, tutto è numero» annuì Zenone.
«Bene, tu hai mai visto un numero?».
«Ehm…» fece Zenone. Poi prese una delle tavolette che teneva in un sacchetto e tracciò tre trattini sulla sua superficie. «Immagino non intendiate i segni che scriviamo per fare i calcoli».
«No. Quelle sono rappresentazioni. Potremmo rappresentare quel numero in molti modi: con ciottoli, con trattini, con lettere dell’alfabeto. Ma quelle rappresentazioni non sono i numeri. Quei tre trattini non sono il numero tre. Il numero tre non si può né vedere né toccare. Ma forse per questo non esiste? È meno reale di ciò che vedi e che tocchi?» fece una pausa sotto lo sguardo interrogativo di Zenone. «Se lo possiamo pensare, allora esiste!» affermò poi con veemenza. «Se lo possiamo pensare, è!».
«Ma allora i pitagorici avevano già capito questo concetto?».
«Quella di Pitagora è stata la prima grande scuola di pensiero. La ragione ha condotto i suoi allievi attraverso il sentiero della verità guidandoli verso importanti scoperte. Così ci hanno svelato l’importanza dei numeri, mostrandoci la loro corrispondenza con i fenomeni naturali. Inoltre, furono i primi a usare il metodo del ragionamento per assurdo. Quel tipo di ragionamento in cui l’assurdità di una conclusione fa dedurre la falsità dell’affermazione iniziale. E quel metodo rimane tra i più importanti mezzi con cui la ragione umana può mantenersi sul sentiero della verità. Ma i pitagorici non si mantennero sempre su quel sentiero. Ne uscirono proprio nelle occasioni in cui non usarono il ragionamento per assurdo. Ad esempio, quando pretesero di attribuire un significato a ogni numero. In quel caso non sottoposero l’ipotesi alla prova dell’assurdo: se ammetto che ogni singolo numero non abbia un significato specifico, quale assurdità genererei? Nessuna! Oppure quando vollero trovare la musica persino nel moto degli astri. Ma se ammetto che gli astri non producano suoni, genero una contraddizione? No! Inoltre, caro Zenone, alla luce delle rivelazioni della dea Dike, io sostengo che i pitagorici furono miopi persino quando raggiunsero conclusioni valide usando la ragione in modo perspicace. Furono miopi perché interpretavano fatti percepiti attraverso i sensi, senza accorgersi che i sensi possono essere fallaci e illusori. I sensi annebbiano la vista della ragione. Possono farci deviare dal sentiero della verità per condurci nei vicoli ciechi dell’illusione».
«Dobbiamo dubitare anche di ciò che vediamo e che sentiamo?».
«È così. Lo dedussi dalle parole della dea: “Non con l’occhio che non vede né con l’orecchio che rimbomba ma con la ragione giudica la prova”. Pensa alla forma della Terra» continuò il maestro sotto lo sguardo ancora dubbioso dell’allievo. «Se ci fermiamo alla prima impressione suggerita dai sensi, la vediamo piatta. Così come credevano i nostri antenati, o ancora oggi le persone semplici. Ma è
davvero piatta? Se sottoponiamo la prima impressione al vaglio della ragione, ponendoci domande sensate e interrogandoci sul significato di altre osservazioni, allora ci rendiamo conto che non può essere piatta: come spiegheremmo che i naviganti vedono prima le vette delle montagne e poi le terre basse? E che vedono prima le vele e poi gli scafi delle altre barche? Come spiegheremmo che, quando si naviga dall’Egitto a Massalia, alcune stelle vanno più in alto mentre altre scompaiono sotto l’orizzonte? Come spiegheremmo che a inizio estate un paletto piantato verticalmente non proietta ombra sul suolo della Tebe egiziana, mentre la proietta su quello della Tebe greca?».
«Vero!» esclamò Zenone ammirato. «Però, riguardo ai pitagorici… Non sono sicuro di aver capito. Raggiunsero la verità percorrendo il sentiero sbagliato?».
«Volendo sintetizzare, sì. Partendo dall’osservazione che certi rapporti numerici corrispondono a precisi intervalli musicali scoprirono che il cosmo può essere compreso attraverso i numeri. Ma la loro osservazione si basava sulla percezione acustica. Una percezione che può allontanare dal sentiero della verità».
«Uhm» fece Zenone poco convinto, ma guardandosi bene dall’esprimere la propria perplessità.
«Tuttavia, anche le apparenze a volte possono essere utili» aggiunse il maestro. «A patto che non contraddicano la ragione generando delle assurdità: “con la ragione giudica la prova”. E, in quel caso, i pitagorici non la contraddissero».
«Quindi… non sempre i sensi sono fallaci e illusori» azzardò Zenone.
«I sensi sono illusori quando ci comunicano parvenze irreali. Ma abbiamo altri mezzi per percepire la realtà che ci circonda? No. Possiamo farlo solo attraverso i sensi. Quindi tali parvenze rappresentano l’esperienza umana di partenza da cui l’intelletto può ricostruire l’unità del tutto. La scoperta dei pitagorici sul ruolo dei numeri e della matematica nella comprensione della realtà è stata fondamentale, ma rappresenta solo un passo lungo la via necessaria per raggiungere l’unificazione totale e definitive della realtà. Tuttavia, il sentiero della verità continua a essere costantemente tradito. Anche da pensatori moderni come il vecchio Eraclito di Efeso».
«Eraclito di Efeso? Mi pare che non ce ne abbiate mai parlato».
«Non ve ne ho mai parlato per difendervi dal pensiero dissennato di chi scrive che non si può discendere due volte nel medesimo fiume e che non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato» si infervorò Parmenide. «Che sciocchezze! L’essere è immutabile, immobile e sempre uguale a se stesso! Il cambiamento implicherebbe il passaggio dall’Essere al Non-Essere. Ma del Non-Essere non si può né dire né pensare nulla, perché non è possible né dire né pensare ciò che non è!».
«Efeso si trova nella Ionia, vero?» cambiò discorso Zenone avendo intuito di essersi cacciato in un vespaio.