Il volo delle chimere è stato selezionato tra i dieci finalisti del premio letterario internazionale città di Arce.
giovedì 18 ottobre 2018
domenica 14 ottobre 2018
What is Mathematics, Really? di Reuben Hersh - Ma il platonismo in matematica è una sorta di religione?
Ma il platonismo in matematica tende a una trasfigurazione mistica della materia tramutandola in una sorta di religione?
Così sembra pensarla Reuben Hersh, autore di What Is Mathematics, Really?
L'ultima volta che ho parlato di questo libro ho riportato un brano in cui l'autore cerca di indagare la natura degli oggetti matematici. Oggi propongo riflessioni sulle varie scuole di pensiero che hanno cercato di indagare tale natura. Come al solito, il tutto è in libera traduzione.
Il costruttivista considera i numeri naturali come il dato fondamentale della matematica, che non si può né si deve ridurre a una nozione più basilare, e da cui deve essere costruita tutta la matematica.
Il platonista considera gli oggetti matematici come preesistenti, una volta per tutte, in un indefinito senso ideale e atemporale. Il matematico non creerebbe ma scoprirebbe ciò che esiste già, compresi gli infiniti di una complessità non ancora concepita dalla sua mente.
Il formalista rifiuta sia le restrizioni del costruttivista sia la teologia del platonista. Ciò che conta sono solo le regole di inferenza con cui trasforma una formula in un'altra. Qualsiasi significato di tali formule è al di fuori della matematica e quindi non interessa al formalista.
Che cosa manca a ognuna di queste tre filosofie da un punto di vista intuitivo?
La difficoltà più ovvia è quella che affligge il platonista. Se gli oggetti matematici costituiscono un mondo ideale immateriale, in che modo la mente umana stabilirebbe un contatto con quel mondo? Consideriamo, ad esempio, l'ipotesi del continuo. Gödel e Cohen hanno dimostrato che non può essere dimostrata né smentita dagli attuali assiomi della matematica. Il platonista dovrebbe considerare questo risultato un inaccettabile manifestazione di ignoranza. Secondo lui il continuo dovrebbe essere un oggetto definito e indipendente dalla mente umana. E quindi dovrebbe o contenere o non contenere un sottoinsieme infinito non equivalente né all'insieme dei numeri interi né all'insieme dei numeri reali. Dovrebbe essere la nostra intuizione a dirci quale sia il caso. Il platonista ha quindi bisogno dell'intuizione per collegare la consapevolezza umana e la realtà matematica. Ma questo suo concetto di intuizione è inafferrabile. Il platonista non lo descrive né, tantomeno, lo analizza.
Ci si potrebbe chiedere: come viene acquisita questa intuizione? Varia da persona a persona, da matematico a matematico? Deve essere sviluppata e raffinata. Ma in che modo e con quali criteri la si sviluppa? L'intuito del platonista vedrebbe direttamente una realtà ideale così come i nostri occhi percepiscono la realtà visibile?
Quindi l'intuizione sarebbe una seconda entità ideale, la controparte soggettiva della realtà matematica platonica. E così abbiamo introdotto un secondo mistero. Oltre alla misteriosa relazione tra la realtà mondana del cambiamento e quella delle idee atemporali e immateriali; adesso abbiamo anche la misteriosa relazione tra il matematico in carne e ossa e la sua intuizione, che percepisce direttamente l'eterno e l'atemporale.
Queste difficoltà rendono il platonismo difficile da sostenere per una persona con una mentalità scientifica. Ma i platonisti matematici ignorano bellamente tali difficoltà. Per loro, l'intuizione è qualcosa di inanalizzabile ma indispensabile. Così come l'anima del protestantesimo moderno, l'intuizione esiste, ma non può essere oggetto di dibattito.
Così sembra pensarla Reuben Hersh, autore di What Is Mathematics, Really?
L'ultima volta che ho parlato di questo libro ho riportato un brano in cui l'autore cerca di indagare la natura degli oggetti matematici. Oggi propongo riflessioni sulle varie scuole di pensiero che hanno cercato di indagare tale natura. Come al solito, il tutto è in libera traduzione.
Il costruttivista considera i numeri naturali come il dato fondamentale della matematica, che non si può né si deve ridurre a una nozione più basilare, e da cui deve essere costruita tutta la matematica.
Il platonista considera gli oggetti matematici come preesistenti, una volta per tutte, in un indefinito senso ideale e atemporale. Il matematico non creerebbe ma scoprirebbe ciò che esiste già, compresi gli infiniti di una complessità non ancora concepita dalla sua mente.
Il formalista rifiuta sia le restrizioni del costruttivista sia la teologia del platonista. Ciò che conta sono solo le regole di inferenza con cui trasforma una formula in un'altra. Qualsiasi significato di tali formule è al di fuori della matematica e quindi non interessa al formalista.
Che cosa manca a ognuna di queste tre filosofie da un punto di vista intuitivo?
La difficoltà più ovvia è quella che affligge il platonista. Se gli oggetti matematici costituiscono un mondo ideale immateriale, in che modo la mente umana stabilirebbe un contatto con quel mondo? Consideriamo, ad esempio, l'ipotesi del continuo. Gödel e Cohen hanno dimostrato che non può essere dimostrata né smentita dagli attuali assiomi della matematica. Il platonista dovrebbe considerare questo risultato un inaccettabile manifestazione di ignoranza. Secondo lui il continuo dovrebbe essere un oggetto definito e indipendente dalla mente umana. E quindi dovrebbe o contenere o non contenere un sottoinsieme infinito non equivalente né all'insieme dei numeri interi né all'insieme dei numeri reali. Dovrebbe essere la nostra intuizione a dirci quale sia il caso. Il platonista ha quindi bisogno dell'intuizione per collegare la consapevolezza umana e la realtà matematica. Ma questo suo concetto di intuizione è inafferrabile. Il platonista non lo descrive né, tantomeno, lo analizza.
Ci si potrebbe chiedere: come viene acquisita questa intuizione? Varia da persona a persona, da matematico a matematico? Deve essere sviluppata e raffinata. Ma in che modo e con quali criteri la si sviluppa? L'intuito del platonista vedrebbe direttamente una realtà ideale così come i nostri occhi percepiscono la realtà visibile?
Quindi l'intuizione sarebbe una seconda entità ideale, la controparte soggettiva della realtà matematica platonica. E così abbiamo introdotto un secondo mistero. Oltre alla misteriosa relazione tra la realtà mondana del cambiamento e quella delle idee atemporali e immateriali; adesso abbiamo anche la misteriosa relazione tra il matematico in carne e ossa e la sua intuizione, che percepisce direttamente l'eterno e l'atemporale.
Queste difficoltà rendono il platonismo difficile da sostenere per una persona con una mentalità scientifica. Ma i platonisti matematici ignorano bellamente tali difficoltà. Per loro, l'intuizione è qualcosa di inanalizzabile ma indispensabile. Così come l'anima del protestantesimo moderno, l'intuizione esiste, ma non può essere oggetto di dibattito.
lunedì 1 ottobre 2018
La medaglia Fields e i numeri p-adici - prima parte
– Ma allora questo Peter Scholze avrebbe vinto la Medaglia Fields per ricerche nell'ambito dei numeri p-adici?
– Ma come? Tutti parlano dell'italiano Alessio Figalli vincitore della medaglia Fields per i contributi alla teoria del trasporto ottimale e alle sue applicazioni alle equazioni alle derivate parziali e tu ti interessi al campo di ricerca del vincitore tedesco? Sei un po' al di fuori dello spirito del tempo. Non sai che questo è il momento di "prima gli italiani"?!
– Scusa, ma hai visto il mio colore? Pensi che certi slogan possano far presa su di me?
– Beh... effettivamente...
– E poi... quel tipo di matematica, equazioni alle derivate parziali e cose simili, non mi ha mai appassionata molto. È troppo complicata per me.
– Ah! E invece pensi che i numeri p-adici siano semplici?
– Boh… forse no però, da quel poco che ho sentito, una delle conseguenze dell'introduzione di quei inumeri mi ha ricordato la nostra discussione su Dedekind, il suo taglio e la soluzione del problema di Ippaso.
– Sì, è vero. Sono temi correlati. Con quella tecnica Dedekind definì i numeri irrazionali, come la radice quadrata di 2, a partire dai numeri interi. Detto in altre parole estese l'aritmetica dei numeri razionali (interi e frazioni) ai numeri irrazionali creando così il campo dei numeri reali.
– Sì, mi ricordo.
– E con i numeri p-adici, sebbene essi siano nati inizialmente per applicazioni nell'ambito della teoria dei numeri, si può fare una cosa simile a quella che fece Dedekind. Cioè, si possono estendere i numeri razionali a quelli reali in un modo diverso rispetto a quello di Dedekind. Ma che risulta anche un po' più complicato.
– Ancora più complicato di quel metodo?!
– Eh, sì. Credo che sia molto meno intuitivo. Sostanzialmente, l'estensione è ottenuta attraverso un'interpretazione alternativa del concetto di distanza.
– E cioè? Come viene definita questa distanza?
– Allora, dato un numero p fissato, si possono costruire i numeri p-adici ottenuti a partire da quel numero p. La vicinanza tra due di questi numeri p-adici, chiamiamoli a e b, si misura attraverso la divisibilità della loro differenza, a - b, per una potenza pn. Più il pn che la divide è grande, più i due numeri sono vicini.
Questa proprietà consente ai numeri p-adici di codificare informazioni che generano potenti applicazioni nella teoria dei numeri, inclusa, ad esempio, anche la famosa dimostrazione dell'ultimo teorema di Fermat di Andrew Wiles.
Inoltre, con l'estensione ai numeri reali di cui parlavamo, si riesce anche a estendere la tradizionale analisi matematica a un'analisi p-adica che, in certi ambiti, fornisce una forma alternativa all'analisi matematica tradizionale.
– Interessante. Non credo di aver capito bene il discorso della distanza, però.
– Allora, cerchiamo di definirla in modo un po’ più intuitivo.
– Quando parliamo di un solo numero la distanza coincide con la misura del numero, giusto?
– In qualche modo sì. In quel caso la distanza viene chiamata anche “norma”. Sui numeri reali tradizionali corrisponde al numero stesso privato del segno. Ad esempio, la norma di 2, indicata con |2|, è 2 così come la norma di -2:
– Scusa, ma la (1) è una conseguenza del Teorema fondamentale dell’aritmetica, vero?
– Sì, certo. Del fatto che Ogni numero naturale maggiore di 1 si può esprimere come prodotto di numeri primi. È più chiaro adesso?
– Un pochino. Però vorrei vedere qualche esempio.
– Allora, prendiamo una frazione non semplicissima: q = 140/297. Se la fattorizziamo in numeri primi avremo che:
E dunque,
140/297 = 22·3-3·5·7·11-1
– Ah, ho capito! A seconda del numero primo che sceglierò come base p-adica avrò una norma diversa?
– Certo! In questo caso, a seconda della scelta di p = 2, 3, 5, 7 o 11, come norma 2-adica, 3-adica, 5-adica, 7-adica o 11-adica avremo:
|140/297|2 = 2-2 = 1/4
|140/297|3 = 33 = 27
|140/297|5 = 5-1 = 1/5
|140/297|7 = 7-1 = 1/7
|140/297|11 = 11
Ed ecco degli altri esempi di norme 2-adiche e 3-adiche:
2 = 2·30 => |2|3 = 3-0 = 1
3 = 31 => |3|3 = 3-1 = 1/3
4 = 22·30 => |4|3 = 3-0 = 1
5 = 30·5 => |5|3 = 3-0 = 1
6 = 2·31 => |6|3 = 3-1 = 1/3
7 = 30·7 => |7|3 = 3-0 = 1
8 = 23·30 => |8|3 = 3-0 = 1
9 = 32 => |9|3 = 3-2 = 1/9
10 = 2·30·5 => |10|3 = 3-0 = 1
11 = 30·11 => |11|3 = 3-0 = 1
12 = 22·31 => |12|3 = 3-1 = 1/3
13 = 30·13 => |13|3 = 3-0 = 1
14 = 2·30·7 => |14|3 = 3-0 = 1
15 = 31·5 => |15|3 = 3-1 = 1/3
16 = 24·30 => |16|3 = 3-0 = 1
17 = 30·17 => |17|3 = 3-0 = 1
18 = 21·32 => |18|3 = 3-2 = 1/9
– Beh, adesso capisco meglio. Però…
– Che cosa?
– Non è un po’ strana questa norma? Conta solo il fatto che il primo p fissato compaia o meno nella fattorizzazione del numero, e più l’esponente con cui p compare è grande più la norma è piccola. E poi, abbiamo parlato di norma ma non mi hai ancora mostrato un esempio di numero p-adico.
– Te ne mostrerò più di uno, ma non oggi.
...continua...
– Ma come? Tutti parlano dell'italiano Alessio Figalli vincitore della medaglia Fields per i contributi alla teoria del trasporto ottimale e alle sue applicazioni alle equazioni alle derivate parziali e tu ti interessi al campo di ricerca del vincitore tedesco? Sei un po' al di fuori dello spirito del tempo. Non sai che questo è il momento di "prima gli italiani"?!
– Scusa, ma hai visto il mio colore? Pensi che certi slogan possano far presa su di me?
– Beh... effettivamente...
– E poi... quel tipo di matematica, equazioni alle derivate parziali e cose simili, non mi ha mai appassionata molto. È troppo complicata per me.
– Ah! E invece pensi che i numeri p-adici siano semplici?
– Boh… forse no però, da quel poco che ho sentito, una delle conseguenze dell'introduzione di quei inumeri mi ha ricordato la nostra discussione su Dedekind, il suo taglio e la soluzione del problema di Ippaso.
– Sì, è vero. Sono temi correlati. Con quella tecnica Dedekind definì i numeri irrazionali, come la radice quadrata di 2, a partire dai numeri interi. Detto in altre parole estese l'aritmetica dei numeri razionali (interi e frazioni) ai numeri irrazionali creando così il campo dei numeri reali.
– Sì, mi ricordo.
– E con i numeri p-adici, sebbene essi siano nati inizialmente per applicazioni nell'ambito della teoria dei numeri, si può fare una cosa simile a quella che fece Dedekind. Cioè, si possono estendere i numeri razionali a quelli reali in un modo diverso rispetto a quello di Dedekind. Ma che risulta anche un po' più complicato.
– Ancora più complicato di quel metodo?!
– Eh, sì. Credo che sia molto meno intuitivo. Sostanzialmente, l'estensione è ottenuta attraverso un'interpretazione alternativa del concetto di distanza.
– E cioè? Come viene definita questa distanza?
– Allora, dato un numero p fissato, si possono costruire i numeri p-adici ottenuti a partire da quel numero p. La vicinanza tra due di questi numeri p-adici, chiamiamoli a e b, si misura attraverso la divisibilità della loro differenza, a - b, per una potenza pn. Più il pn che la divide è grande, più i due numeri sono vicini.
Questa proprietà consente ai numeri p-adici di codificare informazioni che generano potenti applicazioni nella teoria dei numeri, inclusa, ad esempio, anche la famosa dimostrazione dell'ultimo teorema di Fermat di Andrew Wiles.
Inoltre, con l'estensione ai numeri reali di cui parlavamo, si riesce anche a estendere la tradizionale analisi matematica a un'analisi p-adica che, in certi ambiti, fornisce una forma alternativa all'analisi matematica tradizionale.
– Interessante. Non credo di aver capito bene il discorso della distanza, però.
– Allora, cerchiamo di definirla in modo un po’ più intuitivo.
– Quando parliamo di un solo numero la distanza coincide con la misura del numero, giusto?
– In qualche modo sì. In quel caso la distanza viene chiamata anche “norma”. Sui numeri reali tradizionali corrisponde al numero stesso privato del segno. Ad esempio, la norma di 2, indicata con |2|, è 2 così come la norma di -2:
|-2|=2
– E sui p-adici?
– Nel caso dei p-adici la cosa è leggermente più complessa. Dobbiamo partire dal fatto che ogni numero razionale q diverso da zero può essere scritto come
dove p è un numero primo fissato, r ed s due interi non divisibili per p, e a è l’unico intero che soddisfi la (1). E quindi definiamo la norma p-adica di q come
|q|p=pa
– E sui p-adici?
– Nel caso dei p-adici la cosa è leggermente più complessa. Dobbiamo partire dal fatto che ogni numero razionale q diverso da zero può essere scritto come
q=pa·r/s (1) |
dove p è un numero primo fissato, r ed s due interi non divisibili per p, e a è l’unico intero che soddisfi la (1). E quindi definiamo la norma p-adica di q come
|q|p=pa
– Scusa, ma la (1) è una conseguenza del Teorema fondamentale dell’aritmetica, vero?
– Sì, certo. Del fatto che Ogni numero naturale maggiore di 1 si può esprimere come prodotto di numeri primi. È più chiaro adesso?
– Un pochino. Però vorrei vedere qualche esempio.
– Allora, prendiamo una frazione non semplicissima: q = 140/297. Se la fattorizziamo in numeri primi avremo che:
140 = 22·5·7
297 = 33·11
E dunque,
140/297 = 22·3-3·5·7·11-1
– Certo! In questo caso, a seconda della scelta di p = 2, 3, 5, 7 o 11, come norma 2-adica, 3-adica, 5-adica, 7-adica o 11-adica avremo:
|140/297|2 = 2-2 = 1/4
|140/297|3 = 33 = 27
|140/297|5 = 5-1 = 1/5
|140/297|7 = 7-1 = 1/7
|140/297|11 = 11
Ed ecco degli altri esempi di norme 2-adiche e 3-adiche:
p = 2
1 = 20 => |1|2 = 2-0 =
1 |
|
2 = 21 => |2|2
= 2-1 = ½
|
1/2 = 2-1 => |1/2|2 = 21 =
2
|
3 = 20·31 => |3|2
= 2-0 = 1
|
1/3 = 2-0·3-1
=> |1/3|2 = 20 =
1
|
4 = 22 => |4|2
= 2-2 = ¼
|
1/4 = 2-2 => |1/4|2 = 22 =
4
|
5 = 20·5 => |5|2
= 2-0 = 1
|
1/5 = 2-0·5-1
=> |5|2 = 20 =
1
|
6 = 21·3 => |6|2
= 2-1 = ½
|
1/6 = 2-1·3-1
=> |6|2 = 21 =
2
|
7 = 20·7 => |7|2
= 2-0 = 1
|
|
8 = 23 => |8|2
= 2-3 = 1/8
|
2/3 = 21·3-1
=> |2/3|2 = 2-1
= 1/2
|
9 = 20·32 => |9|2
= 2-0 = 1
|
|
10 = 21·5 => |10|2 = 2-1 =
½
|
2/3 = 21·3-1
=> |2/3|3 = 31 =
3
|
11 = 20·11 => |11|2 = 2-0 = 1
|
1/8 = 2-3 => |1/8|2 = 23 = 8
|
12 = 22·3 => |12|2 = 2-2 =
1/4
|
1/16 = 2-4
=> |16|2 = 24
= 16
|
13 = 20·13 => |13|2 = 2-0 = 1
|
16 = 24
=> |16|2 = 2-4
= 1/16
|
p=3
1 = 30
=> |1|3 = 3-0 = 12 = 2·30 => |2|3 = 3-0 = 1
3 = 31 => |3|3 = 3-1 = 1/3
4 = 22·30 => |4|3 = 3-0 = 1
5 = 30·5 => |5|3 = 3-0 = 1
6 = 2·31 => |6|3 = 3-1 = 1/3
7 = 30·7 => |7|3 = 3-0 = 1
8 = 23·30 => |8|3 = 3-0 = 1
9 = 32 => |9|3 = 3-2 = 1/9
10 = 2·30·5 => |10|3 = 3-0 = 1
11 = 30·11 => |11|3 = 3-0 = 1
12 = 22·31 => |12|3 = 3-1 = 1/3
13 = 30·13 => |13|3 = 3-0 = 1
14 = 2·30·7 => |14|3 = 3-0 = 1
15 = 31·5 => |15|3 = 3-1 = 1/3
16 = 24·30 => |16|3 = 3-0 = 1
17 = 30·17 => |17|3 = 3-0 = 1
18 = 21·32 => |18|3 = 3-2 = 1/9
– Beh, adesso capisco meglio. Però…
– Che cosa?
– Non è un po’ strana questa norma? Conta solo il fatto che il primo p fissato compaia o meno nella fattorizzazione del numero, e più l’esponente con cui p compare è grande più la norma è piccola. E poi, abbiamo parlato di norma ma non mi hai ancora mostrato un esempio di numero p-adico.
– Te ne mostrerò più di uno, ma non oggi.
...continua...
Iscriviti a:
Post (Atom)