Giorgio Bellini aveva già assistito più volte alla scena in cui il professor Compagnoni, dopo un attacco di tosse spaccapolmoni, apriva la finestra per espellere il grumo di muco bronchiale intriso di nicotina al di fuori delle pareti scrostate dell'edificio scolastico. Ma quel giorno il quattordicenne non credette ai suoi occhi quando vide il grumo finire sul pavimento dell'aula perché il professore non era riuscito ad aprire quella finestra arrugginita.
In quegli anni poteva capitare che l'insegnante di matematica di un istituto professionale per l'industria e l'artigianato della periferia romana fosse un geometra. Ma non nel senso di specialista della disciplina matematica della geometria. Alvaro Compagnoni era uno dei geometri di riferimento di quella circoscrizione romana. Un amico degli amici per cui vent'anni prima: "un posto nel nuovo istituto professionale non si nega a nessuno". Ma Giorgio dopo i primi due mesi di scuola aveva già capito che non era solo una questione di titoli di studio. Infatti, il professore di elettronica Enzo Faggiani, pur non essendo laureato, era un insegnante formidabile: motivato, colto, preparato, affabile, umano e carismatico. L'unico difetto che aveva era la sua personale scala di voti che andava dal 4 al 7. Ma poi, verso la fine dell'anno, Giorgio si sarebbe accorto che, rarissimamente, quando si rispondeva perfettamente e le domande erano difficili, si poteva ottenere anche un 8.
Giorgio Bellini cercò di trovare anche degli attributi adatti a descrivere il professor Compagnoni ma gliene venne in mente solo uno: la suinitudine. Il professore la esprimeva sia fisicamente, pur ricordando molto
Pietro Gambadilegno, sia metaforicamente, nei modi. Alvaro Compagnoni arrivava solitamente in classe con un quotidiano e passava, quando andava bene, almeno tre quarti del tempo a leggerlo. Poi dava uno sguardo al registro e a volte spiegava sommariamente qualcosa. Altre volte, in prossimità della fine del quadrimestre, accorgendosi di aver dato pochi voti, interrogava a casaccio oppure improvvisava un improbabile compito in classe.
Un'interrogazione che rimase negli annali della classe fu quella in cui rispedì al banco Antonio De Pedis, un compagno di classe di Giorgio, tra le urla e le bestemmie. Antonio era tra i più studiosi della classe ma era anche molto ansioso. Il fatto di trovarsi di fronte a un insegnante così aggressivo gli aveva paralizzato le attività intellettive e quello stato di panico aveva fatto imbestialire Compagnoni.
Quell'anno Giorgio, facendosi descrivere i programmi da amici che frequentavano altri istituti scolastici, cercò di integrare autonomamente le carenze dell'insegnamento del professor Compagnoni.
Nel secondo anno di scuola superiore la situazione non migliorò. Anzi, per quanto riguarda l'apprendimento della matematica, per Giorgio quell'anno fu peggio del primo. Visto che il professor Compagnoni fu rimpiazzato da un'insegnante con grossi problemi personali. Ma questo Giorgio lo avrebbe capito bene solo qualche anno dopo. In quel momento si univa a, e a volte capeggiava, gli scherzi che andavano a colpire i punti deboli di quell'insegnante. Così, nella successiva estate, Giorgio passò un po' di tempo a colmare le lacune matematiche.
Al terzo anno la situazione cambiò radicalmente. La nuova professoressa, Gianna Colantoni, era una neolaureata in matematica e, dopo meno di un mese di scuola, Giorgio se n'era già letteralmente innamorato. Non che la professoressa fosse dotata di chissà quali bellezze fisiche. Non era come con Graziella Pace, durante le cui lezioni quasi tutta la classe, tranne Giorgio, De Pedis e forse un altro compagno, sceglieva posizioni strategiche per poterle guardare le gambe. No, la Colantoni piaceva solo a Giorgio. Il modo in cui parlava, il modo in cui spiegava, il modo in cui gli sorrideva: tutto gli provocava batticuori e ondate di emozioni. E l'amore per la professoressa si confuse con l'amore per la materia che la Colantoni insegnava con bravura e passione. Giorgio la subissava di domande e alla professoressa la cosa non sembrava dispiacere. Presto le domande cominciarono a sconfinare verso temi che andavano oltre il programma di quell'anno. E quando Giorgio scoprì l'analisi matematica, con quegli affascinanti concetti di limite e di infinito, le domande si moltiplicarono. Tanto che un giorno la Colantoni si presentò in aula con due libri.
- Questi sono i libri di testo su cui ho studiato per il mio primo esame di analisi. Te li regalo - gli disse la professoressa.
Giorgio fu invaso da una gioia incontrollabile che subito cercò di contenere per evitare imbarazzanti prese in giro da parte dei compagni di classe. Quei due libri diventarono subito una specie di feticcio per Giorgio. Li conservava, li sfogliava e li studiava quasi come fossero una parte della mente e del corpo della professoressa.
Anche il professor Baroni, che gli insegnò la geometria analitica e l'analisi matematica durante il quarto e il quinto anno, era molto bravo. Ma quando Giorgio prese la decisione di iscriversi a matematica non fu solo grazie a lui. E quando, sedici anni dopo, vinse un'importante premio per matematici, tra i vari maestri che aveva avuto, quella che ricordò con più affetto fu proprio la professoressa Gianna Colantoni.