Oggi condivido brani di un dialogo tratti da "Finitudine: Un romanzo filosofico su fragilità e libertà" di Telmo Pievani, filosofo epistemologo.
Qui i due protagonisti premi nobel, lo scrittore e filosofo Albert Camus e il biologo Jacques Monod, si pongono domande sul rapporto tra scienza, filosofia e matematica e offrono spunti di riflessione al lettore.
"La funzione più alta dell’intelligenza umana è la simulazione: attingiamo all’esperienza, ma attraverso schemi cognitivi geneticamente fondati, quindi basati a loro volta sull’esperienza accumulata nel corso dell’evoluzione. Solo noi immaginiamo, prevediamo, proiettiamo, anticipiamo la trama del mondo. Creiamo per gioco entità matematiche nella nostra testa: pensa, per esempio, alle geometrie non euclidee, che poi si rivelano essere strumenti essenziali per rappresentare fedelmente la natura, in particolare lo spazio-tempo di Albert Einstein. Non sappiamo come sia possibile, ma di sicuro non dipende dalla nostra esperienza individuale e concreta. Forse nel nostro cervello c’è la sedimentazione delle esperienze e delle capacità di simulazione dei nostri predecessori: la mente dei nostri avi si è sintonizzata con la natura, si è co-evoluta con essa interrogandosi per migliaia di generazioni sulle regolarità naturali. Ecco perché la matematica funziona e anticipa la realtà.”
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“Io non ho mai avuto un’idea totalizzante della scienza. So benissimo quanta bellezza c’è negli altri saperi. Mia moglie Odette è un’archeologa, orientalista ed esperta di pittura tibetana. La musica rivaleggia da sempre con la scienza nella mia vita di ogni giorno. Ma il dominio della conoscenza razionale della realtà spetta alla scienza e non ad altre forme di sapere. Se la scienza ci presenta una nuova immagine del mondo e fa a pezzi le nostre illusioni, dobbiamo prenderne atto e starci dentro, non fuggire. La filosofia non può essere indifferente. Altrimenti significa che, della scienza, noi accettiamo solo quello che ci fa comodo, nuovi strumenti e possibilità, come in questo ospedale, ma non quello che conta, cioè la revisione totale delle basi dell’etica. Quello della scienza è il candore di uno sguardo sempre rinnovato che illumina di luce nuova antichi problemi. La teoria molecolare del codice genetico, per esempio, ha in primo luogo implicazioni epistemologiche, certo, ma anche etiche e politiche.”
“Per come la definisci tu, Jacques, la scienza è lo strumento più potente che abbiamo per combattere la menzogna, per smantellare riposanti certezze. Se è così, mi va bene. Posso anche ricredermi, se vuoi. Se esistesse il partito di quelli che non sono sicuri di avere ragione, io sarei già iscritto”.
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“c’è una strana parentela fra le teorie e i modelli scientifici – ai quali tu ti riferisci – e i romanzi.”
“In che senso?”
“I romanzi non sono esercizi di evasione dalla realtà. Sono la fabbricazione di universi alternativi, chiusi e compiuti. Non rappresentano e non copiano; costruiscono una storia mediante una composizione di fatti veri. Il romanzo è una cosa seria. L’uomo rifiuta il mondo quale è, senza però accettare di evitarlo. Non desidera lasciare il mondo, ci tiene, ma soffre perché non lo possiede abbastanza. Siamo esuli in patria, strani cittadini del mondo; per noi ogni realtà è incompiuta, e si compie solo nell’attimo fuggente della morte. Nel romanzo, invece, i lettori possono conquistare quella pienezza, possono fare della vita degli altri – benché non della propria – un’opera d’arte. Il romanzo è l’universo in cui l’azione trova una sua forma, in cui le parole finali vengono pronunciate, in cui la vita tutta prende il volto del destino. Nel romanzo correggiamo questo mondo secondo i nostri desideri. L’universo romanzesco ha quindi una sua logica interna, una continuità imperturbabile che non c’è mai nella vita, ma che ritroviamo nella fantasticheria. Se vuoi fare filosofia, devi scrivere romanzi. Forse, anche voi scienziati fate lo stesso quando ricostruite il mondo dentro una teoria. Solo che, nella scienza, questi universi alternativi sono messi costantemente a confronto con le durezze della realtà osservativa e sperimentale, mentre nel romanzo fanno sì che il lettore si senta lacerato tra la finzione, l’invidia per la vita degli altri e il senso soverchiante della propria irredimibile incompiutezza, che prorompe non appena terminata la lettura.”...
“Non ti capisco. La tua filosofia deve comunque basarsi sulla conoscenza del mondo, e quella ti viene data dalla scienza, non da altri saperi; non c’è contraddizione né estraneità tra scienza ed esistenza.”
“Alla fine, la vostra scienza si perde nelle metafore. Pensa all’atomo come sistema planetario: sconfina in immagini quasi poetiche, in ipotesi; non coglie mai la totalità. C’era dunque bisogno di tutti questi sforzi? Sono descrizioni certe che non mi insegnano nulla sul significato della mia esistenza, cioè l’estraneità rispetto a quel mondo. Oppure sono ipotesi che vorrebbero indicarmi qualcosa, ma non sono certe. Mi insegna di più la poesia sul nostro universo indecifrabile e limitato.”
“Non è vero Albert. La scienza, certo, è ipotetica, ma è anche cumulativa. Le sue verità non sono relative nel senso di arbitrarie: sono relative nel senso che, per mezzo della critica e dell’autocorrezione, sono costantemente suscettibili di integrazioni, generalizzazioni e revisioni. Quindi l’universo non è indecifrabile, ma progressivamente, ancorché indefinitamente, decifrabile. La scienza, più che relativa, è provvisoria, parziale, perennemente integrabile: la differenza è sostanziale.”
“Sai che io preferisco le rivolte alle rivoluzioni. Secondo me, c’è una vena di follia in chi cerca spiegazioni deterministiche, figlie di una ragione cieca che ha pretesa di chiarezza. Le categorie che tutto spiegano mi innervosiscono: il mondo non è ragionevole. L’ossessione dei fisici di trovare una razionalità ultima nell’universo, di scovare le leggi immutabili di natura come se fossero idee nella mente di Dio, assomiglia allo storicismo hegeliano. Il razionalismo universale di certi scienziati ci riporta a Platone.”
“D’accordo, la ragione della scienza è una ragione lucida, che accetta i propri limiti. La spiegazione scientifica è probabilistica, statistica, soggetta a incertezza ed errore. Ma il mondo non è irragionevole nel senso di non intelligibile; ha una propria ragionevolezza che è estranea al senso che noi vorremmo trovare in esso: un senso teleologico, rassicurante, illusorio. La modestia si addice allo scienziato, ma non alle sue idee, che lui ha il dovere di difendere fino all’estremo e che possono avere implicazioni filosofiche, ideologiche, etiche e politiche enormi. La scienza non è soltanto un insieme di risultati e di successi pagati al costo di molti fallimenti. La scienza non è un corpo di conoscenze, come la vedi tu, ma è un modo di pensare.”
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