“Il percorso è rituale,” ci stava dicendo Agliè mentre salivamo.
“Questi sono giardini pensili, gli stessi – o quasi – che Salomon de Caus aveva ideato per gli orti di Heidelberg – voglio dire, per l’elettore palatino Federico V, nel gran secolo rosacrociano. La luce è poca, ma così dev’essere, perché è meglio intuire che vedere: il nostro anfitrione non ha riprodotto con fedeltà il progetto di Salomon de Caus, ma lo ha concentrato in uno spazio più angusto. I giardini di Heidelberg imitavano il macrocosmo, ma chi li ha ricostruiti qui ha solo imitato quel microcosmo. Vedano quella grotta, costruita a rocaille... Decorativa, senza dubbio. Ma de Caus aveva presente quell’emblema dell’Atalanta Fugiens di Michael Maier dove il corallo è la pietra filosofale. De Caus sapeva che attraverso la forma dei giardini si possono influenzare gli astri, perché ci sono caratteri che per la loro configurazione mimano l’armonia dell’universo...”
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“Vorrei che loro cogliessero il significato profondo di questo che altrimenti sarebbe un banale gioco idraulico. De Caus sapeva bene che se si prende un vaso, lo si riempie d’acqua e si chiude in alto, anche se poi si apre un foro sul fondo, l’acqua non ne esce. Ma se si apre anche un foro al di sopra, l’acqua defluisce o zampilla in basso.”
“Non è ovvio?” chiesi. “Nel secondo caso entra l’aria dall’alto e spinge l’acqua in basso.”
“Tipica spiegazione scientista, in cui si scambia la causa per l’effetto, o viceversa. Lei non deve chiedersi perché l’acqua esce nel secondo caso. Deve chiedersi perché si rifiuta di uscire nel primo.”
“E perché si rifiuta?” chiese ansioso Garamond.
“Perché se uscisse rimarrebbe del vuoto nel vaso, e la natura ha orrore del vuoto. Nequaquam vacui, era un principio rosacrociano, che la scienza moderna ha dimenticato.”
“Impressionante,” disse Garamond. “Casaubon, nella nostra meravigliosa storia dei metalli queste cose debbono venire fuori, mi raccomando. E non mi dica che l’acqua non è un metallo. Fantasia, ci vuole.”
“Mi scusi,” disse Belbo ad Agliè, “ma il suo è l’argomento post hoc ergo ante hoc. Quello che viene dopo causa quello che veniva prima.”
“Non bisogna ragionare secondo sequenze lineari. L’acqua di queste fontane non lo fa. La natura non lo fa, la natura ignora il tempo. Il tempo è un’invenzione dell’Occidente.”
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“Io dico che esiste una società segreta con ramificazioni in tutto il mondo, che complotta per diffondere la voce che esiste un complotto universale.” “Lei scherza, ma io...”
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“Io dico che esiste una società segreta con ramificazioni in tutto il mondo, che complotta per diffondere la voce che esiste un complotto universale.” “Lei scherza, ma io...”
“Io non scherzo. Venga a leggersi i manoscritti che arrivano alla Manuzio. Ma se vuole un’interpretazione più terra terra, è come la storiella del balbuziente che dice che non l’hanno assunto come annunciatore alla radio perché non è iscritto al partito. Bisogna sempre attribuire a qualcuno i propri fallimenti, le dittature trovano sempre un nemico esterno per unire i propri seguaci. Come diceva quel tale, per ogni problema complesso c’è una soluzione semplice, ed è sbagliata.”
“E se io trovo una bomba su un treno avvolta in un ciclostilato che parla di sinarchia, mi accontento di dire che è una soluzione semplice per un problema complesso?”
“Perché? Ha trovato bombe sui treni che... No, mi scusi. Davvero questi non sarebbero fatti miei. Ma allora perché me ne parla?”
“Perché speravo che lei ne sapesse più di me. Perché forse mi solleva vedere che anche lei non ci si raccapezza. Lei dice che deve leggere troppi matti, e la considera una perdita di tempo. Io no, per me i testi dei vostri matti – dico vostri, della gente normale – sono testi importanti. A me forse il testo di un matto spiega come ragiona chi mette la bomba sul treno. O ha paura di diventare una spia della polizia?”
Il pendolo di Foucault – Umberto Eco
Il pendolo di Foucault – Umberto Eco