Fano cita un'idea di Grünbaum (Modern Science and Zeno's Paradoxes, p. 44), secondo cui, quando si propone un ipotesi matematicamente esatta sulla natura di un oggetto reale, è opportuno confrontare tale ipotesi con la percezione. Infatti, anche se la percezione è parzialmente illusoria, essa è la prima nostra fonte di conoscenza e quindi va rispettata.
Tuttavia, un continuo spaziale percepito, come ad esempio un tratto di matita nera su un foglio bianco, non viene colto come un insieme denso di punti. Certo possiamo definire in esso dei minimi percepibili, considerando che la percezione visiva spaziale possiede una soglia.
Quindi potremmo anche dire che esso è in potenza formato da un insieme finito e discreto di minimi percepibili. Ma tali minimi non risultano evidenti. Possiamo quindi affermare, con Grünbaum, che la percezione non testimonia contro l'affermazione che lo spazio sia composto da un insieme denso di punti, sebbene non testimoni neanche a favore di questa tesi.
L'argomento più forte a favore del fatto che lo spazio fisico sia composto da un insieme denso di punti, afferma poi Fano, è, invece, il successo delle attuali teorie fisiche:
La densità del tempo
Ma una tale supposizione può essere valida pure per il tempo? In "I paradossi di Zenone − seconda parte − I contributi di Aristotele al paradosso della dicotomia" abbiamo visto che la soluzione aristotelica del paradosso si basava sull'infinità divisibilità del tempo.
Così come per il caso dello spazio, Fano prende in considerazione un esempio concreto. Per lo spazio aveva considerato un tratto di matita e per il tempo considera una palla che si muove su di un tavolo da biliardo.
Ora non abbiamo più un oggetto statico come il tratto di matita ma un oggetto in movimento.
Fano considera le due diverse concezioni del movimento: la cosiddetta teoria at-at, solitamente attribuita a Bertrand Russell, per cui essere in movimento significa “essere in luoghi diversi in istanti diversi”. E quella aristotelica, secondo la quale il movimento è "l’atto di ciò che è in potenza in quanto in potenza" (Fisica, 201a: 10-11 e 201b, 4-5).
La prima è una teoria precisa e, di fatto, accettata dalla maggior parte degli studiosi. Tuttavia è non solo poco intuitiva, ma anche problematica, perché implica, come si vedrà, una radicale forma di indeterminismo. La seconda, invece, è oscura, ma rende certamente meglio l'idea del movimento come qualcosa di non rappresentabile in modo completo nello spazio e nel tempo.
Per fare un esempio, la teoria at-at afferma che se Gianna alle 15:20 è in camera sua e alle 15.21 è in cucina, allora si è mossa. Per Bergson (1889, pp. 64 70) questo non è il movimento, ma "il già mosso"; cioè un fatto compiuto. In effetti, se Gianna sparisse dalla sua stanza alle 15:20 e ricomparisse in cucina alle 15:21 non potremmo dire che fra le 15:20 e le 15:21 si stava muovendo, possiamo al massimo dire che si è mossa, cioè che non è più nello stesso luogo.
Per Aristotele, invece, il movimento implica necessariamente un'analisi ontologica in termini di ciò che è attuale e di ciò che è potenziale. In prima approssimazione potremmo dire che il movimento è l’attualità di una potenzialità. Ad esempio, Gianna nella sua camera porrebbe andare in cucina, e fra le 15.20 e le 15.21 realizza questa possibilità. Se questa fosse stata la definizione aristotelica di movimento, di nuovo faremmo confusione con il già mosso, cioè il passaggio dalla potenza all'atto sarebbe solo un modo ontologicamente diverso di descrivere qualcosa di simile a quello che racconta la teoria at-at. È forse per questa ragione che Aristotele aggiunge quella strana postilla: il movimento è l'attualità di una potenzialità in quanto in potenza. Infatti quel "in quanto in potenza" sta a indicare che non stiamo parlando di '"già mosso", ma di movimento, cioè questo passaggio deve contenere in sé ancora potenzialità, ossia deve essere qualcosa di incompleto (Brentano, 1862, pp. 52 ss.; Kostman, 1987; Ross, 1936, p.-dl.).
Tutto ciò è molto interessante, ma irrimediabilmente impreciso.
Fano propone quindi un miglioramento della teoria at-at del movimento dicendo che la palla da biliardo è in moto in un certo istante se, preso un lasso di tempo Δtε piccolo a piacere, che comprenda t, in istanti diversi di Δtε essa si trova in luoghi diversi. In pratica, affinché ci sia movimento, deve esserci continuità del moto. In questo modo, usando una procedura ispirata al metodo rigoroso di Weierstrass, abbiamo reso un po’ più intuitiva la teoria at-at. Infatti per affermare che la palla si muova nel lasso di tempo Δtε è necessario che si muova in tutti gli istanti che appartengono a Δt.
Vedremo che questa definizione lascia dei problemi aperti, però è probabilmente il meglio che siamo riusciti a fare a tutt’oggi, grazie al genio di Weierstrass.
Secondo molti autori (Whitehead e Grünbaum), tuttavia, il tempo percepito, a differenza dello spazio, sarebbe discontinuo.
Ma secondo Fano sembra più naturale affermare che, così come nel caso dello spazio, la continuità o discontinuità della temporalità dipenda dalla struttura percettiva di ciò che stiamo percependo: cioè se percepiamo il movimento della palla da biliardo la sua temporalità sarà continua mentre se stiamo percependo il battito del nostro cuore la temporalità sarà discontinua.
Questa tesi è confermata anche dai più recenti studi di psicologia cognitiva(Fingelkurts 2006). Inoltre, anche in questo caso le migliori teorie fisiche presuppongono che il tempo sia denso; perciò abbiamo buone ragioni per ritenerlo tale.
Fano conclude quindi che, una volta accertata la densità dello spazio, siamo naturalmente portati ad assumere anche quella del tempo.