mercoledì 31 agosto 2022

Vincenzo Fano − I paradossi di Zenone − prima parte − una formalizzazione del paradosso della dicotomia e il contributo di Diogene il Cinico

Un altro punto di riferimento, oltre ai già citati Giovanni Cerri e Gustavo E. Romero, per comprendere il pensiero dei filosofi eleati in rapporto al moderno pensiero scientifico e matematico è stato il libro I paradossi di Zenone di Vincenzo Fano.

Qui riporterò una formalizzazione di Fano del paradosso della dicotomia e le sue considerazioni sull'interpretazione di Diogene il Cinico.

1. Prima di tutto Fano espone il paradosso in termini un po' più precisi rispetto alle formulazioni informali.

"Supponiamo che un corpo C si muova da a a b, due differenti luoghi spaziali, con velocità costante. Supponiamo, per semplicità, che la distanza fra a e b sia uguale a 1m e il viaggio duri 1s. Se ipotizziamo che la velocità di C sia costante, essa sarà di 1 m/s."

Ovviamente, per attraversare metà del percorso, C impiegherà 1/2 s. In generale, secondo la cinematica classica, impiegherà esattamente 1/M unità di tempo per percorrere un qualsiasi tratto di lunghezza 1/M contenuto in ab.

2. Quindi Fano rende esplicita l'ipotesi implicita di Zenone, che lo spazio sia infinitamente divisibile (ipotesi che in seguito lo stesso Fano mostrerà essere "non precisabile" - par 2.4).

3. "Dunque C, per andare da a a b, deve percorrere una serie infinita di intervalli di spazio adiacenti, il primo dei quali è lungo 1/2 m, il secondo 1/ 4, il terzo 1/8 ecc., che possiamo così indicare con:"

1/2, 1/4, 1/8, …, 1/2n

4. "Dato che C si muove con velocità finita, per attraversare ognuno degli intervalli della successione impiegherà una quantità finita di tempo."

5. Una conclusione affrettata potrebbe far pensare che una somma infinita di numeri finiti non può che essere infinita. Quindi C adopererà una quantità infinita di tempo per andare da a a b. Per cui C non arriverà mai a destinazione.

Tuttavia, "a una mente matematicamente educata apparirà subito qual è la fallacia nel ragionamento". E cioè che "una somma infinita di numeri finiti non può che dare infinito".
"Infatti, noi possediamo la matematica per affermare che la somma infinita dei membri della suddetta successione dà 1 e non infinito.






Detto questo, in un certo senso, si potrebbe affermare che la questione sia risolta. In realtà un esame storico-filosofico dell'argomento appena presentato aiuterà a comprendere molti aspetti non banali sullo spazio, il tempo, la loro quantificazione e l'infinito".

Il solvitur ambulando di Diogene il Cinico

Diogene Laerzio racconta che quando qualcuno provò a dimostrare che il moto non esiste, Diogene il Cinico si alzo in piedi e se ne andò. Come a dire che bisogna basarsi sull'esperienza e sulla pratica per risolvere questo problema.
"Il senso del gesto di Diogene il Cinico non è però risolutivo, poiché è vero che il movimento è empiricamente evidente, ma l'esperienza potrebbe comunque essere ingannevole, soprattutto se la logica ci mostra che il movimento è impossibile.
Si può anche riformulare così: molti sono d'accordo che il movimento è evidente e che coloro che lo ritengono un'illusione sono sulla strada sbagliata; ciononostante dobbiamo dimostrare in che senso i loro argomenti sono fallaci, cioè ci resta il compito di sostenere argomentativamente l'opinione più comune.

Continua su Vincenzo Fano − I paradossi di Zenone − seconda parte − I contributi di Aristotele al paradosso della dicotomia

lunedì 29 agosto 2022

I paradossi di Zenone sul movimento e il dualismo spazio-tempo – Umberto Bartocci

Umberto Bartocci, I paradossi di Zenone sul movimento e il dualismo spazio-tempo, Episteme, Physis e Sophia nel III millennio, Perugia, N. 8, 2004.

Umberto Bartocci è un matematico, studioso dei fondamenti della matematica e della fisica, noto anche per aver sostenuto tesi minoritarie, come, ad esempio, una critica all’approccio formalistico della matematica proponendo un ritorno a una "fondazione classica".

In questo articolo, pubblicato su Episteme, un giornale ideato e curato dallo stesso Bartocci, il matematico romano riporta sue ricerche e interpretazioni nell'ambito dei paradossi di Zenone e temi correlati. 
In estrema sintesi, Bartocci asserisce che i paradossi di Zenone non possano essere "risolti", ma se ne può solo “spiegare la radice”. E questa ha a che fare con le modalità di funzionamento della nostra mente “ogni volta che si cerchi di concepire esattamente qualsiasi forma di movimento”.
Ponendosi al di fuori della tradizionale interpretazione in cui il tempo, così come lo spazio, è una grandezza continua, Bartocci asserisce che spazio e tempo si intuiscono in modi inconciliabilmente differenti: il primo lo si percepisce densamente popolato da segmenti infinitamente divisibili, e il secondo lo si immagina costituito da intervalli non infinitamente suddivisibili.

Detto in altre parole, il modo in cui intuiamo lo spazio fisico nel quale ci muoviamo sarebbe molto simile al modello ideale dello spazio euclideo usato in geometria: uno spazio continuo costituito da punti infinitesimi e immateriali; mentre il tempo verrebbe percepito come un susseguirsi di attimi atomici ma non infinitesimali e quindi non infinitamente suddivisibili, cioè come un insieme discreto.

Per sottolineare chiaramente la distinzione tra spazio e tempo percepiti e spazio e tempo reali Bartocci fornisce anche una tabella che riassume la sua interpretazione.
Il movimento esiste nella realtà, e in quanto tale non implica alcuna contraddizione: esso è, semplicemente, come intendeva Diogene”, dice Bartocci.
Quindi la radice dei paradossi sarebbe solo nella nostra percezione della realtà e non nella realtà stessa. E, in particolare, nello scollamento tra nostra percezione intuitiva di spazio e di tempo da un lato e il modo in cui i paradossi vengono invece solitamente inquadrati da un punto di vista logico-razionale dall’altro.
L’errore sarebbe proprio nel nostro modo di rappresentare formalmente il tempo. Confondendo le sue caratteristiche con quelle dello spazio lo si tratta attraverso il concetto di "numero reale", che è valido, dice Bartocci, solo per esprimere le misure geometriche di segmenti ma non gli intervalli di tempo. 
Si scambia cioè la necessaria (per l'intuizione umana dello spazio) infinita suddivisibilità dei segmenti della retta spaziale R, con una corrispondente infinita suddivisibilità degli analoghi segmenti della retta temporale T, invece impossibile per l'intuizione umana”.

Alla domanda “come mai ci troviamo quasi d'accordo con Zenone, nel negare la "possibilità razionale" del movimento?" Bartocci risponde: “l'intelletto umano non può concepire l'infinita suddivisibilità di un segmento temporale, con la conseguenza che una somma infinita di siffatti segmenti non può essere per esso altro che divergente”.

Esprimendo il pensiero in termini più matematici Bartocci afferma che: “Accanto alla retta spaziale R, esiste - "nella nostra mente" - un'analoga retta temporale, indichiamola con il simbolo T. Si tratta di un insieme ordinato, meglio spazio ordinato, che rappresenta il tempo nell'intelletto, allo stesso modo che R vi rappresenta lo spazio, almeno nella sua manifestazione 1-dimensionale. Le due "rette" si "assomigliano" di fatto sotto diversi aspetti” … “La retta spaziale R è concepita però in maniera che tra un punto e l'altro ce ne sono sempre infiniti, sicché non c'è alcun modo di introdurre il successivo di un determinato punto. Al contrario, la retta temporale T appare formata da istanti "separati”, ogni istante ha un successivo e un precedente, tra un istante e un altro non si riesce a immaginarne infiniti. T è quello che si dice uno spazio ordinato discreto, mentre R è invece uno spazio ordinato continuo: insomma, R e T non sono strutture isomorfe. È lecito prendere in considerazione, sia in R che in T, delle serie, ossia delle somme infinite di segmenti, ed ecco che dalla fondamentale differenza strutturale tra le due "rette" procede la circostanza che deve ritenersi tanto l'origine dei paradossi, quanto la loro "soluzione": in R esistono delle serie di segmenti convergenti, in T ogni tale serie è necessariamente divergente.

Il semigruppo delle classi di equivalenza di segmenti associato a R, indichiamolo con S, non ha né minimo né massimo, quello associato a T, diciamolo Q, non ha massimo, ma ha un minimo, la classe d'equivalenza dei segmenti con due soli istanti ("il" segmento con due soli istanti). Q può ritenersi coincidere proprio con N = { 1,2,3,...} , l'insieme dei numeri che si dicono naturali.

In altre parole ancora, R e T sono strutture non isomorfe, né se le si riguarda come spazi ordinati, né come insiemi, cioè appare impossibile stabilire, per le caratteristiche proprie degli enti coinvolti, una corrispondenza biunivoca tra segmenti di spazio ideale percorso (elaborazioni della pura geometria della retta continua ideale), e associati segmenti di tempo. Ovvero, la nostra mente è costretta a concepire delle posizioni spaziali virtuali che non possono essere effettive, non possono essere di fatto occupate, non esistendo un istante in cui tale "occupazione" possa avere luogo. Una coppia ordinata del tipo posizione-istante, o spazio-tempo, è quello che si dice un evento, e potremo allora pure sintetizzare la nostra opinione asserendo che: non ogni posizione spaziale del tragitto di Achille corrisponde a un evento.