Umberto
Bartocci, I paradossi di Zenone sul movimento e il dualismo spazio-tempo,
Episteme, Physis e Sophia nel III millennio, Perugia, N. 8, 2004.
Umberto Bartocci è un matematico, studioso dei fondamenti della matematica e della fisica, noto anche per aver
sostenuto tesi minoritarie, come, ad esempio, una critica all’approccio
formalistico della matematica proponendo un ritorno a una "fondazione
classica".
In questo articolo, pubblicato su Episteme, un giornale ideato e curato dallo stesso Bartocci, il matematico romano riporta sue ricerche e interpretazioni nell'ambito dei paradossi di Zenone e temi correlati.
In estrema
sintesi, Bartocci asserisce che i paradossi di Zenone non possano essere
"risolti", ma se ne può solo “spiegare la radice”. E questa ha a che
fare con le modalità di funzionamento della nostra mente “ogni volta che si cerchi
di concepire esattamente qualsiasi forma di movimento”.
Ponendosi al di fuori
della tradizionale interpretazione in cui il tempo, così come lo spazio, è una
grandezza continua, Bartocci asserisce che spazio e tempo si intuiscono in
modi inconciliabilmente differenti: il primo lo si percepisce densamente
popolato da segmenti infinitamente divisibili, e il secondo lo si immagina
costituito da intervalli non infinitamente suddivisibili.
Detto in altre
parole, il modo in cui intuiamo lo spazio fisico nel quale ci muoviamo sarebbe
molto simile al modello ideale dello spazio euclideo usato in geometria: uno
spazio continuo costituito da punti infinitesimi e immateriali; mentre il tempo
verrebbe percepito come un susseguirsi di attimi atomici ma non infinitesimali
e quindi non infinitamente suddivisibili, cioè come un insieme discreto.
Per sottolineare chiaramente la distinzione tra spazio e
tempo percepiti e spazio e tempo reali Bartocci fornisce anche una tabella che
riassume la sua interpretazione.
“
Il movimento esiste nella realtà, e in quanto tale non
implica alcuna contraddizione: esso è, semplicemente, come intendeva Diogene”,
dice Bartocci.
Quindi la radice dei paradossi sarebbe solo nella nostra percezione
della realtà e non nella realtà stessa. E, in particolare, nello scollamento
tra nostra percezione intuitiva di spazio e di tempo da un lato e il modo in
cui i paradossi vengono invece solitamente inquadrati da un punto di vista
logico-razionale dall’altro.
L’errore sarebbe proprio nel nostro modo di
rappresentare formalmente il tempo. Confondendo le sue caratteristiche con
quelle dello spazio lo si tratta attraverso il concetto di "numero
reale", che è valido, dice Bartocci, solo per esprimere le misure
geometriche di segmenti ma non gli intervalli di tempo.
“Si
scambia cioè la necessaria (per l'intuizione umana dello spazio) infinita
suddivisibilità dei segmenti della retta spaziale R, con una corrispondente
infinita suddivisibilità degli analoghi segmenti della retta temporale T,
invece impossibile per l'intuizione umana”.
Alla domanda “come mai ci troviamo
quasi d'accordo con Zenone, nel negare la "possibilità razionale" del
movimento?" Bartocci risponde: “l'intelletto umano non può
concepire l'infinita suddivisibilità di un segmento temporale, con la
conseguenza che una somma infinita di siffatti segmenti non può essere per esso
altro che divergente”.
Esprimendo il
pensiero in termini più matematici Bartocci afferma che: “Accanto alla retta
spaziale R, esiste - "nella nostra mente" - un'analoga retta temporale,
indichiamola con il simbolo T. Si tratta di un insieme ordinato, meglio spazio
ordinato, che rappresenta il tempo nell'intelletto, allo stesso modo che R vi
rappresenta lo spazio, almeno nella sua manifestazione 1-dimensionale. Le due
"rette" si "assomigliano" di fatto sotto diversi aspetti”
… “La retta spaziale R è concepita però in maniera che tra un punto e
l'altro ce ne sono sempre infiniti, sicché non c'è alcun modo di introdurre il
successivo di un determinato punto. Al contrario, la retta temporale T appare
formata da istanti "separati”, ogni istante ha un successivo e un
precedente, tra un istante e un altro non si riesce a immaginarne infiniti. T è
quello che si dice uno spazio ordinato discreto, mentre R è invece uno spazio
ordinato continuo: insomma, R e T non sono strutture isomorfe. È lecito
prendere in considerazione, sia in R che in T, delle serie, ossia delle somme
infinite di segmenti, ed ecco che dalla fondamentale differenza strutturale tra
le due "rette" procede la circostanza che deve ritenersi tanto
l'origine dei paradossi, quanto la loro "soluzione": in R esistono
delle serie di segmenti convergenti, in T ogni tale serie è necessariamente
divergente.
Il semigruppo delle classi di equivalenza di segmenti associato a R,
indichiamolo con S, non ha né minimo né massimo, quello associato a T, diciamolo Q, non ha massimo, ma ha un
minimo, la classe d'equivalenza dei segmenti con due soli istanti
("il" segmento con due soli istanti). Q può ritenersi coincidere proprio con N = { 1,2,3,...} , l'insieme dei
numeri che si dicono naturali.
In altre parole
ancora, R e T sono strutture non isomorfe, né se le si riguarda come spazi ordinati, né come insiemi, cioè appare impossibile stabilire, per le caratteristiche proprie degli enti
coinvolti, una corrispondenza biunivoca tra segmenti di spazio
ideale percorso (elaborazioni della pura geometria della retta continua
ideale), e associati segmenti di tempo. Ovvero, la nostra mente è costretta a concepire delle posizioni spaziali virtuali che non possono
essere effettive, non possono essere di fatto occupate, non esistendo un
istante in cui tale "occupazione" possa avere luogo. Una coppia
ordinata del tipo posizione-istante, o spazio-tempo, è quello che si dice un evento, e potremo allora pure sintetizzare la
nostra opinione asserendo che: non ogni posizione spaziale
del tragitto di Achille corrisponde a un evento.